attività |
|
SAGGI
una selezione
Ciao Mondo ! Esperienze e riflessioni sulla Cooperazione Internazionale
Antologia aperta sull'Europa
Antologia aperta sullo Sviluppo, l'Impresa, l'Etica
Stupri etnici e violenza sulle donne
Berlino - luglio 2008 - foto PAGI
Antologia aperta sull'Europa Roma 2002-2008 a cura di Gianguido Palumbo EUROPA: il futuro della storia, la storia del futuro ?
Crisi dell’Unione Europea ? Costituzione Europea, i valori e le radici Cristiane ? Allargamento e inclusione dei Balcani e della Turchia ? Relazione con l’Oriente e con l’Islam ? Relazione con il Mediterraneo, con il Sud oltre che l’Est ? Capacità di comprendere, convivere, competere con gli altri Continenti, Regioni, Stati ?
Da Timothy Garton Ash “Europa: dove è finita la nostra storia ?” 2007 “L’Europa ha perso il filo. Con l’avvicinarsi del 50° anniversario del Trattato di Roma il 25 marzo 2007, della Comunità Economica Europea divenuta Unione Europea, l’Europa non sa più quale storia vuole raccontare. A sostenere per tre generazioni il progetto postbellico di integrazione europea fu una narrazione politica comune, ma si è disintegrata dalla fine della guerra fredda. Oggi noi Europei in gran parte non sappiamo bene da dove veniamo e ancor meno condividiamo una visione comune di quale sia la nostra meta. Non sappiamo perché abbiamo un’ UE o a che cosa serva. Abbiamo quindi urgente bisogno di una nuova narrazione. Propongo quindi che la nostra nuova storia sia tessuta partendo da sei fili, ciascuno dei quali rappresenta un obiettivo europeo comune. I fili sono : la Libertà, la Pace, il Diritto, la Prosperità, la Diversità, la Solidarietà. Nessuno di questi obiettivi è esclusivamente europeo ma la maggioranza degli europei concorderà che aspirarvi è proprio dell’Europa Contemporanea. Comunque l’Europa di oggi dovrebbe essere capace anche di una costante autocritica.”
Da Marc Augè “Le relazioni sociali e il loro futuro” 2006 “Non esiste Democrazia senza libertà individuale ma questa è minacciata dall’assegnazione dell’Individuo Umano ad una Natura pensata come destino tanto quanto dalla sua chiusura in una Cultura concepita come Natura. L’avvenire dunque non è nel Multiculturalismo, ossia l’inerte coesistenza di universi impermeabili l’uno all’altro e tendenti a rinchiudere chiunque, pur facendone parte, cerchi di uscirne, bensì nel Trans-Culturalismo, l’itinerario individuale attraverso le culture, frutto di educazione e libertà. Come a dire che la Storia non è affatto finita.”
Da Francois Jullien “Pensare l’Efficacia in Cina e in Occidente” 2005 “La Cina mi sembra essere la sola grande Civiltà che si è sviluppata al di fuori del pensiero europeo. La Cina ci fornisce una sorta di punto di appoggio esterno per cercare di risalire nell’impensato del nostro pensiero, per ritornare su ciò che veicoliamo. L’EUROPA potrà ritrovare la sua importanza se avrà saputo costruire se stessa senza accontentarsi della sola destrutturazione delle Nazioni che la compongono, se anziché compiacersi di un consenso piatto, spento e deleterio, autoincensandosi per aver fatto crollare le proprie frontiere interne, sarà in grado di percorrere nuove vie feconde, inventive. L’EUROPA infatti, a partire dalla sua antica tradizione escatologica e dalla sua passione ermeneutica e attraverso il legame conflittuale fra Religione e Filosofia, ha acquisito un’esperienza nelle questioni riguardanti “il Senso”, una certa Saggezza, un’arte della “Gestione”. La Cina manifesta anche oggi un decisivo deficit di Democrazia. Non potrà continuare a sottrarsi alle “questioni del Senso” che non mancheranno di scuoterla e forse addirittura di sconvolgerla. La Saggezza si ritroverà forse allora, soprendentemente non più in “Oriente” ma qui da Noi.”
Da Edgar Morin “Cultura e barbarie europee” 2005 “L’Europa potrebbe produrre nuovi antidoti alla barbarie da essa stessa prodotta, che potrebbero nascere dalla sua cultura a partire da una politica di dialogo e di simbiosi, da una politica di civiltà che promuoverebbe la qualità della vita e non solo la quantità, che fermerebbe la corsa all’egemonia ? L’Europa non potrebbe trovare nuove origini nell’Umanesimo planetario che essa stessa ha creato in passato ? L’Europa non potrebbe reinventare l’Umanesimo ?” “Alla coscienza della barbarie deve integrarsi la coscienza che l’Europa produce, con l’Umanesimo, l’Universalismo, l’ascesa progressiva di una coscienza planetaria, gli antidoti alla sua stessa barbarie. La Democrazia ha bisogno di ricrearsi in permanenza. Pensare la barbarie è contribuire a rigenerare l’Umanesimo e dunque a resisterle.”
Da Amartya Sen “La Democrazia degli altri” 2004 “ La suddivisione del mondo in civiltà distinte con una distribuzione geografica precisa in cui la civiltà Greca è vista come parte integrante di una specifica tradizione “Occidentale”, è una tesi difficile da sostenere considerando le storie diverse delle varie parti d’EUROPA. E’ difficile non riconoscere un implicito elemento di razzismo nella totale riduzione della Civiltà Occidentale alla civiltà greca considerando senza difficoltà come discendenti i Goti, i Visigoti e altri popoli europei mentre si è molto restii a riconoscere i legami intellettuali dei Greci con gli antichi Egizi, gli Iranici, gli Indiani.” “La tesi dell’eccezionalismo europeo nel rispetto della tolleranza e del dialogo può essere sostenuta soltanto chiudendo gli occhi di fronte a tutti gli esempi di discussione pubblica storicamente attestati in altre parti del nostro Pianeta.”
Da Predrag Matvejevic “ Oltre Odessa” 2003 “Confondere la civiltà europea con la civiltà universale è una tentazione ben nota in Europa. Sarebbe auspicabile che l’Europa odierna fosse meno eurocentrica di quella del passato, più aperta al cosiddetto terzo mondo dell’Europa colonialista, meno egoista dell’Europa delle Nazioni, più Europa dei cittadini e meno degli Stati che si sono fatti tante guerre fra loro. Un’Europa più consapevole di se stessa, più culturale che commerciale, più cosmopolita che comunitaria, più comprensiva che arrogante, più accogliente che orgogliosa. L’Unione Europea, occupata dai propri problemi organizzativi dal sua allargamento verso “l’Altra Europa”, non dovrebbe dimenticare che il Mediterraneo è la culla della nostra civiltà.”
Da Edward Said, “ l’Umanesimo, ultimo baluardo contro la barbarie” 2003 “C’è una profonda differenza tra il desiderio di comprendere altre culture per convivere con esse e allargare i propri orizzonti, e la volontà di dominarle e controllarle. Dobbiamo conferire un nuovo respiro, un nuovo senso d’urgenza alla nozione di Mondo Unico, troppo spesso banalizzata. … cogliere la straordinaria complessità nell’unità del nostro pianeta globalizzato: la realtà dell’interdipendenza del nostro mondo non consente più reali opportunità di isolamento a nessuna delle parti. Dobbiamo concentrarci non su un prefabbricato scontro tra civiltà ma piuttosto su un paziente lavoro comune tra culture che si accavallano e si sviluppano attraverso continui e vicendevoli scambi per convivere in forme infinitamente più interessanti. Essere umanista vuol dire non poter vivere nell’isolamento, dato che ogni ambito è legato agli altri e nulla di quanto avviene nel mondo può restare isolato e avulso dalle influenze esterne. Abbiamo bisogno di parlare dei problemi che sono all’origine dell’ingiustizia e della sofferenza in un contesto storico e culturale legato alle realtà socioeconomiche. Il nostro ruolo è quello di allargare il campo della discussione”.
Da Francois Laplantine “ Identità e metissage” 1999 “Con i Saggi di Montaigne ( del 1580 ! ) l’Europa, per una delle primissime volte, si preoccupa realmente della diversità in sé, dell’uomo “mutevole e diverso”. Lungi dall’opporre l’Europa agli altri, le cose importanti ( pensiero spirito ) al resto ( per esempio il corpo ), Montagne s’interessa a tutto e parla di tutto : di politica, di cucina, di medicina, di sport, di economia domestica, di modi di dormire, e di mangiare. L’Uomo, con lui non è solamente ragione, ma anche immaginazione, memoria e soprattutto desiderio. Egli scrive : Un uomo onesto è un uomo mescolato”. “ Copernico stabilì contro i suoi contemporanei che la terra non si trovava al centro del sistema solare. Einstein, ma anche l’Arte Moderna, mandarono a pezzi l’idea stessa di centro del mondo. Proust scrisse che il romanzo non ha come fine di raccontare il visibile ma di cercare di conoscere ciò che non si vede o quanto meno che non si vede immediatamente. Wittgenstein sosteneva che quando crediamo di registrare solamente dei fatti produciamo egualmente delle forme, e la conoscenza esiste solo a partire da in lavoro di messa in relazione, per far vedere le connessioni.”
Da Milan Kundera “L’Arte del Romanzo “La denigrata eredità di Cervantes 1985 “Con costanza e fedeltà il Romanzo accompagna l’uomo dall’inizio del Tempi Moderni. E’ pervaso dalla passione del conoscere…La sola ragion d’essere di un Romanzo è scoprire quello che solo un Romanzo può scoprire. La conoscenza è la sola morale del Romanzo. Il Romanzo è opera dell’Europa e le sue scoperte, pur se realizzate in lingue diverse, appartengono all’Europa intera.” “ Intendere come fa Cervantes il Mondo come ambiguità, dovere affrontare invece che una sola verità assoluta, una quantità di verità relative che si contraddicono, possedere dunque come sola certezza la SAGGEZZA DELL’INCERTEZZA, richiede una grande forza “. “L’uomo sogna un mondo in cui il Bene e il Male siano nettamente distinguibili e questo perché, innato ed indomabile, esiste in lui il desiderio di giudicare prima di aver capito. Su questo desiderio sono fondate le religioni e le ideologie. Religioni e ideologie esigono che qualcuno abbia ragione : o Anna Karenina è vittima di un despota ottuso o Karenin è vittima di una donna immorale; o K. Di Kafka è innocente e schiacciato da un tribunale ingiusto o dietro il tribunale si nasconde le giustizia divina e K. è colpevole. In questo aut–aut è racchiusa tutta l’incapacità di sopportare la sostanziale relatività delle cose umane, l’incapacità di guardare in faccia l’assenza del Giudice Supremo. Ed è questa incapacità che rende la saggezza del Romanzo ( la Saggezza dell’Incertezza ) difficile da capire e da accettare.”
Da Sàndor Marài “ Terra, terra ! ” 1969 “Quel pomeriggio ( Budapest 1944 ) avevo vissuto di persona un evento che l’Europa aveva vissuto soltanto due volte prima di allora : nel IX sec. quando gli Arabi si erano spinti fino a Poitiers e nel XVI quando i Turchi erano arrivati fino a Erlau. Già a quei tempi non era stato consentito all’Oriente di spingersi oltre in Europa. Gli Arabi erano partiti all’assalto della Cristianità con la precisa coscienza della loro visione del mondo, della loro razza e della loro spiritualità, e quando furono sconfitti…non lasciarono in Europa soltanto devastazioni ma gli interrogativi della loro cultura ai quali bisognava rispondere. Avevano portato nozioni di astronomia, di tecnica della navigazione, di medicina, di un nuovo stile ornamentale e di una scienza orientale della Natura, ma anche un nuovo sistema numerico (… )Avevano portato la coscienza dell’Ellenismo che nelle celle semibuie e negli spiriti rattrappiti degli scolastici medioevali si era ridotta a timida fiammella, allorché finalmente qualcuno tradusse in Latino diverse dozzine di opere scientifiche e letterarrie greche… e allora il mondo Cristiano aveva risposto bene a questa prima grande domanda orientale, “ Barbara” : non solo con le armi ( furono sconfitti gli Arabi ) ma con l’Umanesimo e il Rinascimento, che forse senza l’impulso della conoscenza ellenistica e aristotelica della Cultura Araba avrebbero avuto bisogno di secoli per accendere una scintilla nello spirito dell’Uomo Medioevale Europeo. In ogni caso il Rinascimento è stato una risposta alla prima grande irruzione in Europa del pensiero Orientale. Al secondo grande attacco, all’invasione Turco Ottomana, alla sua concezione dell’Universo e all’Imperialismo Orientale, la Cristianità rispose nuovamente con le armi ma soprattutto con un vasto esperimento innovatore: la Riforma luterana. Come risponderà il mio mondo, il mondo Occidentale a questo giovane soldato Russo appena arrivato dall’Oriente e che ha chiesto a me, ad uno sconosciuto scrittore Europeo : “ Chiesi tu ?”.
Da Alberto Savinio “ Sorte dell’Europa” 1944 “ Fare l’Europa. Ma per fare l’Europa, per fare naturalmente l’Europa, per fare umanamente l’Europa, per fare validamente l’Europa bisogna liberarsi innanzi tutto del concetto tolemaico del mondo- che è un concetto teocratico e dunque imperialista- ed entrare nel concetto copernicano, ossia nel concetto democratico. Passare dal concetto verticale del mondo al concetto orizzontale, dal concetto accentratore al concetto espansivo, dal concetto Uomo ( re, capo, nazione ) al concetto Idea. Perché nessun Uomo, nessuna Potenza, nessuna Forza potranno unire gli europei e fare l’Europa. Solo un’Idea li potrà unire, solo un’Idea potrà fare l’Europa. Idea: questa cosa umana per eccellenza. -“ Questa Idea è l’idea della comunità sociale. E per arrivare ad una unione naturale e dunque valida, l’Europa deve scoprire da sé, inventare da sé la ragione profonda di essa unione, non riprenderla , non imitarla da altri.” “ Con che cosa sostituire gli Stati ? Bisogna togliere ai Reggitori e Amministratori della Cosa Pubblica la posizione di centro, e disporli in fila ai margini della vita fluente : come i Segnalinee nelle partite di calcio Che è il solo modo di sciogliere i nodi della vita: il particolarismo e l’isolazionismo nazionalistico. Dare ai popoli un cammino libero, che farà incontrare popolo con popolo, li fonderà, li unirà, e tutti, senza illusioni ne mete false, cammineranno il cammino di una comune sorte.”
Da Altiero Spinelli “Manifesto di Ventotene: per un’Europa libera e unita” 1941 “A causa dell’interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna, è tutto il Globo”. “ Il problema, che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione in stati nazionali e sovrani dell’Europa, per una riorganizzazione federale, pur lasciando ai singoli stati l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari Popoli ”. “ Superando l’orizzonte del vecchio continente, con una visione di insieme di tutti i Popoli che costituiscono l’Umanità, la Federazione Europea sarà l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i Popoli asiatici e i Popoli americani potranno svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire in cui sarà possibile l’unità politica dell’intero Globo.”
Da Benedetto Croce “ Storia d’Europa nel secolo decimonono” 1932 “In ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità ( perché le Nazioni non sono dati naturali ma stati di coscienza e formazioni storiche ) e a quel modo che, or sono settantenni, un Napoletano dell’Antico regno o un Piemontese del Regno SubAlpino si fecero Italiani non rinnegando l’esser loro anteriore ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così Francesi e Tedeschi e Italiani e tutti gli altri si innalzeranno a Europei e i loro pensieri indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate ma meglio amate. Questo processo di Unione Europea, che è direttamente opposto alle competizioni dei nazionalismi e sta contro di essi e un giorno potrà liberane l’Europa, tende a liberarla in pari tempo da tutta la psicologia che ai nazionalismi si congiunge e li sostiene e ingenera modi, abiti e azioni affini.”
Da Vasilij Kandinskij “E: Alcune considerazioni sull’Arte sintetica” 1927 “L’Uomo di oggi sta ancora sotto il segno dell’Aut-Aut. Considerato dall’esterno il nostro tempo in contrapposizione all’ordine del secolo scorso, può essere definito con una parola : Caos. L’uomo di oggi si trova continuamente dinanzi alla necessità di scegliere rapidamente e deve senza indugio accettare un fenomeno o rifiutare l’altro: aut-aut, in modo assolutamente esteriore. In ciò risiede il carattere tragico del tempo. Ma possiamo indovinare nel Caos un nuovo ordine che abbandoni la vecchia base dell’aut-aut e raggiunga lentamente quella del “e”: il XX secolo starà sotto il segno dell’ “e”. Questo nuovo inizio consiste nel riconoscimento dei nessi. Ci si renderà conto sempre di più che non esistono problemi “speciali” che possano essere riconosciuti o risolti isolatamente, poiché in definitiva tutte le cose sono connesse e dipendono l’una dall’altra.”
Da Nikolaj Trubeckoj “L’Europa e l’Umanità” 1910 “La psiche di un popolo dotato di una cultura dissimile dalla nostra ci apparirà sempre come più elementare della nostra psiche. Benché l’idea che l’Europeo ha della psiche del Selvaggio si fondi su un’illusione ottica essa svolge una parte importantissima in tutte le costruzioni quasi-scientifiche dell’Etnologia, dell’Antropologia e della Storia della Cultura europee. La conseguenza maggiore di questo concetto è stata quella di aver permesso agli studiosi Romanogermanici di unificare in un sol gruppo i più disparati popoli della terra sotto il nome di “Selvaggi”, di “Popoli arretrati”, di “ Primitivi”. “Per l’Europeo è altrettanto difficile diventare Selvaggio quanto per il Selvaggio diventare Europeo, e non si può quindi dedurre chi per il suo “sviluppo” sia “superiore” e chi “ inferiore”. “Dimostrazioni obiettive della superiorità degli Europei sui Selvaggi non ce ne sono né ce ne possono essere, perché gli Europei conoscono un’unica misura : ciò che ci assomiglia è migliore e più perfetto di tutto ciò che non ci assomiglia. Al posto del principio di gradazione dei popoli e delle culture secondo gradi di perfezione, il nuovo principio è di equivalenza e di incommensurabilità qualitativa di tutte le culture e di tutti i popoli della terra. Non ci sono né superiori né inferiori, ci sono solamente popoli simili e dissimili. Proclamare superiori i simili a noi e inferiori i dissimili, è arbitrario, antiscientifico, ingenuo e infine semplicemente sciocco. Le scienze Europee diventeranno delle vere discipline scientifiche soltanto se supereranno del tutto questo pregiudizio. Altrimenti esse sono e saranno nel migliore dei casi, un mezzo per turlupinare il prossimo e per giustificare la politica imperialista coloniale e lo spirito vandalistico delle grandi potenze dell’Europa e dell’America.”
Berlino - luglio 2008 - foto PAGI
___________________________________________________________________________ Roma gennaio 2007
Economie, Società, Globalizzazione : sulla Responsabilità Sociale delle Imprese e il loro ruolo nei Paesi in difficoltà nella Cooperazione Internazionale.
A cura di Gianguido Palumbo ( dedicato a mio nonno Pietro Palumbo 1885-1944, Economista di Salaparuta )
Valle del Belice-Salaparuta e Poggioreale - Sicilia febbraio 2008-FotoPAGI
- “ L’Azienda è una realtà del mondo semplicemente e primitivamente umano ? - “ Vogliamo indagare come questa realtà possa inquadrarsi nel fatto umano sociale. Ed allora bisognerà riconoscere che nella vita sociale fra gli “Enti” che la formano, nessuno avrà fini economici da raggiungere o bisogni economici da soddisfare: i fini riguarderanno la vita fisica, spirituale e sociale degli uomini; i bisogni saranno quelli attinenti a questi fini, ma all’infuori di essi non possono concepirsi che Mezzi : cose, beni, ricchezze, energie personali proprie e altrui, risorse e forze della natura. Distingueremo dunque nel complesso della Società Umana un grande numero di “Enti” i quali tutti , dalla Famiglia allo Stato, realizzeranno i fini umani che sono la conservazione e il miglioramento degli Individui e della Specie, ma nella scala e sul piano degli Enti non troveremo e non potremo trovare nessuna Azienda.” - Ma intanto perché gli Enti possano raggiungere i loro fini sarà necessario l’impiego oltre che delle energie personali, di mezzi che bisognerà procacciarsi. Nel procacciamento dei mezzi e nel loro impiego per il raggiungimento dei fini dell’Ente sarà svolta una parte più o meno notevole di attività che sarà come sottratta ai fini supremi dell’Ente e questa attività diremo Attività Economica. - Attività Economica che non avendo valore di fine a sé stessa, ma di mezzo per il raggiungimento di fini che sono fuori di essa, dovrà necessariamente e rigorosamente contenersi in un rapporto di interdipendenza tra gli sforzi e le energie ed i beni impiegati e i risultati raggiunti, in modo che i minori possibili siano quelli a parità di questi, od i maggiori possibili siano questi a parità di quelli. - Attività Economica che dovrà perciò essere consapevole, organizzata, governata in apposite strutture. In queste strutture troviamo la realtà dell’Azienda. Ci interessa di intendere come l’Azienda e l’attività che in essa si svolge, non abbiano mai carattere di fine ma di mezzo al servizio degli Enti. - Quando le cosiddette necessità del Bilancio, nelle Famiglie come negli Stati, costringono Esseri Umani ad abbrutirsi nel lavoro o nello spettacolo dell’altrui miseria, sarà la vittoria del fatto Economico ma non avremo da goderne come creature umane. - Fine unico dell’Azienda non può che essere quello di servire all’Ente, riscontrandosi comunque il carattere di Mezzo. Tutte le Aziende, private e pubbliche, di grandezza e caratteri diversi, devono tendere alla soddisfazione degli Umani Bisogni. - Infine per noi è necessario non solo democratizzarsi per comprendere nella nozione di Azienda il Girovago con la sua carretta ed il Pubblico Scritturale con penna o macchina da scrivere, ma accostarsi alla miseria, anche alla miseria fisica nella considerazione della Azienda di un mendicante ed a quella morale nella considerazione dell’Azienda di un Borsaiolo !”
2. “ Ricchezza e Nobiltà” dal Prof Sebastiano Maffettone ( L’Espresso 30 nov.2006 ) - “ Quando si parla di Business Ethics si intende in genere la Responsabilità Sociale dell’Impresa: il compito dell’Impresa e del Capitalismo più in generale non sarebbe , secondo questa visione, soltanto produrre profitto ma anche assicurare benessere sviluppo. - Negli ultimi anni sono nate due tipi di analisi, la “ShareHolder Analysis” e la “StakeHolder Analysis”. La prima sostiene che lo scopo primario dell’Impresa consista nel soddisfare le pretese economiche degli azionisti. La seconda invece esamina l’Impresa come l’esito di un equilibrio tra le esigenze di tutti coloro contribuiscono al funzionamento dell’Impresa medesima e ne sono legittimamente interessati, per soddisfare non solo le esigenze di soci e azionisti ma anche nel saper badare alle pretese degli StakeHolder come i Dipendenti i Fornitori, i Clienti, la Comunità Pubblica, la Pubblica Amministrazione, l’Ambiente, le Generazioni future. Oltre a ciò altri hanno proposto di articolare ulteriormente la Responsabilità Sociale dell’Impresa a partire dalla sua “Sostenibilità”. Ultimamente sono così nati e diffusi degli strumenti di valutazione ed anche di promozione delle Imprese come i Codici Etici, i Bilanci Sociali, i Bilanci Ambientali. - Il messaggio dominante che viene fuori da tutte queste teorie ed esperienze, tra filantropia e no profit è che una sintesi fra Capitalismo e Morale sia possibile ed anzi non ci sarebbe contraddizione tra i due.”
3.“ A che servono questi soldi” dal Prof Giorgio Ruffolo (l’Espresso del 30 nov. 2006 ) - “ Il nostro tempo è caratterizzato sia da una netta prevalenza dell’Economia Finanziaria sull’Economia Reale, sia dalla insostenibilità della stessa accumulazione reale, dell’energia e della materia, rispetto alle risorse del pianeta e al suo equilibrio ecologico. E’ lo stesso concetto di accumulazione che entra in contestazione. Oggi siamo sempre più preoccupati che il combinato disposto della Accumulazione Economica e della Accumulazione Finanziaria, renda la Crescita INSOSTENIBILE. Il che fa sorgere il dubbio che la logica della Accumulazione asse fondamentale dell’economia capitalistica stia entrando in contraddizione con le esigenze materiali della sopravvivenza della nostra specie. - L’economista di Cambridge Parta Dasgupta parte dalla ragionevole valutazione che, per arrestare la corsa attuale verso una Economia Insostenibile, non sia sufficiente anche se necessario innovare profondamente le fonti, le forme, e i modi di produzione di energia e di materia, ma occorra anche moderare dapprima e ridurre poi il tasso mondiale di aumento dei Consumi.”
4. “ Decrescita” dal Prof. Serge Latouche ( Come sopravvivere allo sviluppo 2004 ) -“ La decrescita in realtà dovrebbe essere realizzata non soltanto per preservare l’ambiente, ma anche e forse soprattutto, per ristabilire un minimo di giustizia sociale senza la quale il pianeta è condannato all’esplosione. La sopravvivenza sociale e la sopravvivenza biologica appaiono dunque strettamente legate. I Limiti del Capitale Natura non pongono soltanto un problema di equità intergenerazionale nella ripartizione delle risorse disponibili ma anche un problema di equità tra i membri dell’Umanità attualmente viventi. -“La Decrescita tuttavia non significa una riduzione del benessere. Realizzare la Decrescita significa rinunciare all’Immaginario Economico, alla credenza che di più sia eguale a meglio: il bene e la felicità si possono realizzare a minor prezzo.. praticando la frugalità, la sobrietà e una certa austerità nel consumo materiale, una Semplicità Volontaria. -“ Per concepire la Società della Decrescita serena ed accedervi è necessario uscire, senza mezzi termini dall’Economia. Questo deve comportare chiaramente un supermento della proprietà privata dei mezzi di produzione e dell’accumulazione illimitata del capitale. -“ Bisogna puntare sulla strategia delle Nicchie: la nicchia è un concetto ecologico molto vicino al concetto antico greco di Prudenza, a una concezione sociale di Efficacia, estranea all’Efficienza. Bisogna allargare e approfondire la propria Nicchia al margine dell’Economia Globalizzata. La strategia della Nicchia però non consiste nel preservare un’oasi nel deserto del mercato mondiale ma nell’estendere progressivamente l’organismo sano per fare arretrare il deserto o fecondarlo. Così, al contrario di Penelope, si ritesse durante la notte, il tessuto sociale che la Mondializzazione e lo Sviluppo disfano durante il giorno.”
5. “ Globalizzazione “ dal Prof Amartya Sen ( Identità e Violenza 2006 ) - “La pratica dell’Economia di Mercato è coerente con molti diversi modelli di proprietà, disponibilità di risorse, strutture sociali e normative. I Mercati non agiscono, non possono agire in solitudine. Non esistono gli Effetti del Mercato sempre uguali a prescindere dalle condizioni che governano i mercati stessi fra le quali la distribuzione delle risorse economiche e della proprietà. L’interrogativo centrale non è e non può essere se ricorrere o no all’Economia di Mercato, perché è impossibile oggi raggiungere una prosperità economica generale senza fare largo uso delle opportunità di scambio e specializzazione offerte dai rapporti di Mercato. - “Politiche Pubbliche appropriate devono integrare il funzionamento dell’Economia di Mercato: sarebbe difficile fare interamente a meno del Mercato senza minare completamente le prospettive del Progresso Economico. - “La natura degli effetti del Mercato è fortemente influenzabile dalle Politiche pubbliche in materia di Istruzione, Sanità, Agricoltura, Credito, incidendo enormemente sugli esiti dei rapporti economici locali e globali. Dobbiamo comprendere e utilizzare questo tipo di interdipendenze se vogliamo incidere sulle disuguaglianze e le asimmetrie che caratterizzano l’Economia Mondiale. La semplice Globalizzazione dei rapporti di Mercato, da sola, rischia di essere un approccio altamente inadeguato alla questione della Prosperità Mondiale.”
___________________________________________________________________________
Vecchio e nuovo Hotel Europa nel Centro di Sarajevo - ottobre 2005- foto PAGI
Stupri etnici e violenza sulle donne ( scritto per la rivista italiana "Difesa Sociale" nov. 2007 dell'Istituto Italiano Medicina Sociale )
Roma 17 marzo 2007
Essere-i Umani: di che Genere ? Alla ricerca di nuove Identità fra Bosnia e Italia. di Gianguido Palumbo
“Gli Esseri Umani hanno laboriosamente imparato ad essere umani” Margaret Mead, L’Uno e l’altro sesso (1966) Le pagine che seguono le ho scritte come uomo, come italiano, come cinquantenne, come professionista della Cooperazione Internazionale, componente della associazione italiana Maschile Plurale. Queste diverse identità concorrono a definire il mio pensiero e il mio comportamento di ogni giorno. Scrivere da uomo sullo Stupro non è facile soprattutto se non si dimentica di appartenere al Genere Maschile e se non si appartiene a una parte di questo Genere che quasi rifiuta un destino “negativo” che lo ha fatto nascere maschio anziché femmina, che vive l’identità maschile come un “pentito” carico di sensi di colpa. Essere Uomini oggi, in Italia come nei Balcani o in Europa o in altri Continenti ( anche se non sono le stesse storie e geografie ) non è facile se si vuole vivere coscientemente la sfida privata e pubblica di una ridefinizione delle soggettività, delle identità maschili, al plurale, come propone l’associazione cui appartengo. Ho lavorato e vissuto in Bosnia, a Sarajevo solo per un anno, tra il 1998 e il 1999, mi interesso però di Balcani da quasi 15 anni, sia a distanza e soprattutto tramite molti amici, amiche, conoscenti in Italia e dall’altra parte dell’Adriatico. Scrivo anche di quel mondo, di quegli anni terribili della Guerra e della post-guerra, ma provo a collegare quel mondo e quel periodo al presente italiano, europeo, occidentale e non solo, attraverso alcuni spunti di vita quotidiana, da un film a un articolo, da un libro a una pubblicità, da un piccolo avviso a una ricerca statistica.
“Grbavica - il segreto di Esma” : un film sulla violenza e l’identità maschile “Una donna che porta un peso ( psicologico )” questo vuol dire GRBAVICA in una lingua che non sappiamo più come definire per non offendere alcuno: “bosniaco, serbo croato” ? Grbavica è anche il nome di un quartiere di Sarajevo che dà il titolo originale al film della giovane regista sarajevese Jasmila Zbanic, orso d’oro al Festival di Berlino 2006, presentato con molto successo in molti paesi del mondo nei mesi scorsi. Un film che racconta una storia d’amore, fra una madre e una figlia, una storia d’amore parallela fra quella madre e un uomo appena conosciuto e una storia di odio, di odi, fra altri uomini sconosciuti e quella stessa donna-madre da loro ripetutamente violentata durante la guerra. [mi sembra che manchi un verbo reggente] La Donna porta un peso, il peso fisico e psicologico di essere stata violentata ed essere rimasta incinta e avere partorito una bambina e soprattutto averle taciuto la sua origine per oltre dodici anni. Quella donna madre, nella storia emblematica del film, aumenterà quel peso con altre esperienze dolorose : dovrà lasciare un nuovo amore appena nato per un uomo “diverso”, dovrà dire la verità a sua figlia. Ma alla fine del film ritorneranno i sorrisi sui visi della madre e della figlia al suono e alle parole di una canzone d’amore per la loro città : Sarajevo. Nel film l’uomo “nuovo” di cui s’innamora la madre-donna è la prefigurazione di una persona che non rinunciando alla propria identità originaria, mostra una sensibilità e agisce in modo “diverso”, non solo con lei , ma anche con i suoi colleghi, con sua madre, e certamente con la donna di cui si è improvvisamente innamorato. Mentre il ragazzo appena quindicenne compagno di classe della figlia viene tratteggiato come un riproduttore di modelli maschili e balcanici “tradizionali”, sicuramente rafforzati dai traumi della guerra : la violenza, la forza, la pistola, il sogno di un lavoro facile e conveniente. “Grbavica” si apre e si chiude con delle immagini bellissime e molto significative di un Centro Assistenza per le donne violentate durante la Guerra a Sarajevo. La “bellezza” particolare del film si riflette anche nella “bellezza” della regista : un viso allegro, serio ma non cupo, sensibile ma deciso e tenace. Una “bellezza” che sta dentro e fuori, che non traborda che non abbacina ma entra in chi guarda: “Grbavica” e la sua autrice sono preziosi, essenziali, semplici ma come scriveva Brecht : “ E’ la semplicità che è difficile a farsi” ( Lode del Comunismo ). La Storia della Guerra di Bosnia, con le sue violenze anche sulle donne da parte di uomini in divisa, e la storia del bel film Grbavica, ci raccontano non solo di guerra, di politica, di religione, di identità nazionali, di Europa, ma anche e nettamente di uomini e donne, di identità maschili e femminili. Il quartiere di Grbavica lo ricordo bene nel suo drammatico aspetto fatto di muri mangiati dal fuoco e dalle bombe, di buchi ovunque, e poi di ricostruzioni e rinascite. Il mio lavoro principale a Sarajevo fra il 1998 e il ’99, per curare i progetti di cooperazione fra la Città di Venezia e la capitale Bosniaca, è stato proprio quello di far nascere il primo Centro Donna pubblico, con il contributo del Comune di Venezia con il suo Centro Donna, in collaborazione con il Cantone di Sarajevo e l’Associazione bosniaca Zena Zenama ( “Donne per le donne” ). In undici mesi straordinari di lavoro, dalla nascita dell’idea all’inaugurazione, è nato SUNCE (Sole) un nuovo servizio pubblico del Cantone di Sarajevo per le donne in difficoltà, inaugurato in occasione dell’8 marzo 1999. In quel progetto dedicato alle donne bosniache, collaboravamo uomini e donne, italiani e bosniaci di diverse origini, e credo che gli uomini coinvolti abbiano avuto un ruolo ed un comportamento positivi: di rispetto ma anche di servizio, di creatività e di tenacia convinta, di vera co-operazione fra Generi. Molte donne, forse non tutte violentate ma sicuramente in grandi difficoltà, hanno frequentato il Centro Sunce. Lavorando assieme ci rendevamo sempre più conto che il vero problema delle donne, all’origine della loro sofferenza passata e di quella presente, erano gli Uomini, non solo gli estranei, i nemici, violentatori in guerra ma anche gli Uomini di famiglia : i mariti disoccupati, spaesati, sconvolti dalla guerra, spesso ubriachi e infine violenti fra le mura di casa. E già allora cominciammo a pensare alla promozione di un Centro per gli Uomini : di ascolto, di aiuto concreto ( lavoro ) e psicologico, da creare a Sarajevo ma anche a Venezia, in Italia, in Europa , nell’Occidente democratico, sviluppato e benestante.
La storia di SUNCE Centro per le Donne di Sarajevo 1998-1999 versus 2007 8 Marzo 2007 : otto anni fa nasceva a Sarajevo il primo Centro Donna pubblico, del Cantone di Sarajevo, realizzato dalla Cooperazione Internazionale fra l’Italia e la BosniaErzegovina, la città di Venezia e la città di Sarajevo. Fin dall’inizio della crisi della Jugoslavia nel 1991-2 la Città di Venezia aveva vissuto con molta partecipazione istituzionale e sociale tutti i passaggi drammatici, maturando una forte solidarietà in particolare con la Città di Sarajevo. Nel 1994 il Comune di Venezia, con il Sindaco Cacciari appena eletto, votava all’unanimità nel Consiglio Comunale un impegno di gemellaggio ufficiale con Sarajevo ed in effetti progressivamente, mese dopo mese, nascevano decine di attività, iniziative, istituzionali e sociali a favore della capitale bosniaca assediata. Alla fine della guerra, nel 1996, Venezia ha continuato ad impegnarsi in varie forme e direzioni fino a concordare con il Ministero degli Esteri italiano e con le Nazioni Unite ( in particolare l’Agenzia OMS, l’ Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNDP, Agenzia per lo Sviluppo Umano ), una missione permanente a Sarajevo dal 1998 per gestire le proprie attività di Cooperazione Internazionale decentrata assieme al Cantone di Sarajevo. All’inizio di maggio del 1998 il Comune di Venezia mi ha proposto di andare a lavorare nella Capitale bosniaca come tecnico consulente, responsabile dell’avvio di progetti di cooperazione in ambito sociale e culturale. In 11 mesi di lavoro, da maggio 1998 a marzo 1999, è nata l’idea di un Centro per le Donne di Sarajevo, è stato elaborato il progetto nei dettagli per ogni versante, sociale, politico, tecnico, economico, è stato realizzato attraverso 10 tappe principali ed inaugurato in occasione della Giornata Mondiale delle Donne nel marzo 1999. Per un progetto di Cooperazione Internazionale, pur piccolo, undici mesi di lavoro dall’ideazione alla inaugurazione sono veramente pochi e l’eccezionalità del caso era dovuta ad un insieme positivo di coincidenze. Riassumo di seguito le dieci tappe di lavoro comune, mese per mese, per dare valore alla velocità, alla consequenzialità del processo ed alla sua completezza e complessità. A Maggio del 1998 il Comune di Venezia, con l’Assessora alle Pari Opportunità ed alla Cooperazione Internazionale e con la Direttrice del Centro Donna della Città ( struttura pubblica) dichiaravano un forte interesse per la promozione e il cofinanziamento di iniziative a favore delle Donne bosniache. Nel frattempo a Sarajevo e in tutta la BIH era in atto un Programma internazionale a favore delle Donne in difficoltà sociale ed economica, vedove, violentate durante la guerra e maltrattate dopo, coordinato dalla OMS. Verificata la condizione di Servizi pubblici d’assistenza sociale esistente a Sarajevo ( assenza di Uffici, Centri specifici per le Donne) e l’esistenza di associazioni femminili bosniache impegnate nella assistenza sociale a Sarajevo, ho elaborato personalmente la prima bozza di Progetto del Centro Donna a Sarajevo su parziale modello di quello veneziano: struttura pubblica di assistenza individuale a Donne in difficoltà, cofinanziato dal Comune di Venezia, dall’OMS e dal MAE Italiano, in cooperazione istituzionale con il Cantone di Sarajevo e la collaborazione progettuale e gestionale di associazioni femminili bosniache. Presentando l’idea base a tutte le componenti italiane e bosniache, abbiamo raggiunto un primo accordo di massima fra OMS, il Comune di Venezia e il Cantone di Sarajevo A Giugno abbiamo organizzato la prima Missione ufficiale di Rappresentanti del Comune di Venezia a Sarajevo per verificare le possibilità elaborazione di un progetto di massima con un Bilancio Preventivo. A Luglio a Venezia è stato firmato l’accordo ufficiale sul progetto fra il Sindaco e il Presidente del Cantone di Sarajevo. A Settembre abbiamo redatto il piano dettagliato di realizzazione del Centro su più fronti : attività e Gestione, selezione Personale, localizzazione e Spazio, Promozione. A Ottobre è iniziato il lavoro parallelo sui quattro fronti definiti. A Novembre, dopo una lunga analisi delle possibilità in giro per la città, abbiamo individuato lo Spazio: un edificio danneggiato dalla guerra, di proprietà pubblica, senza destinazione d’uso momentanea. E’ stato elaborato il progetto architettonico di restauro con il Cantone di Sarajevo, selezionata la Ditta Edile tramite bando pubblico di gara d’appalto per i lavori, e proceduto con la supervisione della Direzione Lavori ad apertura dei cantieri. A Dicembre abbiamo lavorato alla definizione di un progetto gestionale completo assieme al Ministero Cantonale di Sarajevo per gli Affari Sociali ed alla Associazione femminile Bosniaca “ Donne per le Donne”, selezionato il Personale iniziale ( 3 Donne ) assieme alle responsabili del Cantone di Sarajevo e dell’associazione. A Gennaio 1999 è iniziata la formazione del Personale e contemporaneamente anche la scelta della denominazione e del simbolo grafico assieme ad una strategia di promozione e comunicazione necessaria per farlo conoscere al più presto. A Febbraio è stato selezionato l’Arredo completo e presi contatti con IKEA Italia per un accordo di sponsorizzazione. Abbiamo creato anche un fondo base per la Biblioteca specializzata in storie e diritti delle donne. A Marzo finalmente è stata organizzata l’ inaugurazione prevista per il 13 marzo ( l’8 Marzo le responsabili di Sunce erano state invitate dal Ministro Affari Sociali in Italia per presentare a livello nazionale il Centro Sunce ). A Sarajevo è stata curata una campagna promozionale con manifesti, striscioni stradali, comunicati stampa, presentazioni in TV e Radio ed il 13 marzo alle ore 13 è avvenuta l’ inaugurazione ufficiale. Ma di tutto questo intenso lavoro individuale e collettivo il ricordo più importante che conservo è proprio l’atto conclusivo del mio rapporto con lo spazio e con le persone.
Ex Centro Donna SUNCE a Sarajevo - ottobre 2005- foto PAGI
SUNCE : un ricordo personale forte e significativo Sarajevo 13 marzo 1999 ore 15.00 Centro Donna “SUNCE”. Alla fine dell’inaugurazione del Centro, con la partecipazione di decine di donne bosniache di diverse provenienze, molti rappresentanti, maschi e femmine, delle Istituzioni Locali e Nazionali della BosniaErzegovina, del Comune di Venezia, delle Nazioni Unite, decine di giornalisti di stampa, radio e televisioni bosniache, quando ormai erano andati via quasi tutti, erano rimaste a discutere nella stanza Biblioteca del Centro solamente alcune donne protagoniste del progetto : per l’Italia e il Comune di Venezia l’Assessora alle Pari Opportunità ed alla Cooperazione Internazionale, la Direttrice del Centro Donna, la Psicologa veneziana dell’Associazione di donne coinvolta e per la Bosnia Erzegovina e Sarajevo, la Presidentessa e la Segretaria della Associazione Donne per le Donne della Città, l’Assessora ( Ministra ) ai Servizi Sociali del Cantone, e le tre Donne scelte come prime Operatrici del Centro SUNCE. Io, assieme al Direttore del programma OMS BosniaErzegovina, ero rimasto a verificare la situazione finale di tutti i locali del Centro dopo l’inaugurazione per potere consegnare definitivamente le chiavi di ingresso che avevo tenuto fino a quel giorno come unico e diretto responsabile dei lavori di restauro e di allestimento per conto di tutti gli enti internazionali, italiani e bosniaci, coinvolti. Finito il giro ho bussato alla porta chiusa della Biblioteca e dopo aver avuto l’assenso ad entrare ho chiesto scusa per l’interruzione dell’incontro, e con pochissime parole rivolte a tutte le donne presenti, ho consegnato ufficialmente le chiavi alla Presidentessa dell’Associazione di Donne sarajevesi che le avrebbe date a sua volta ad una delle responsabili operative alla fine della riunione. E’ stato un momento breve ma intenso, emozionante, un incrocio di sguardi fra me e molte di loro alla fine del quale, passate le chiavi, la Presidentessa mi ha guardato negli occhi con grande intensità e complicità ed ha semplicemente detto a bassa voce “Grazie”. Ho salutato tutte augurando buon lavoro, ho richiuso la porta e sono uscito dal Centro felice e orgoglioso. Avevo immaginato quel centro nove mesi prima, ci avevo lavorato assieme a uomini e donne di tanti paesi e origini, avevo individuato l’edificio pubblico semidistrutto dalla Guerra sulla collina proprio sopra all’Holiday Inn, avevo partecipato alla selezione delle ditte nella gara d’appalto per il restauro, coinvolto l’IKEA Italia per l’arredamento ottenendo sconti, avevo partecipato anche alla selezione del personale del Centro ed alla elaborazione del Progetto di attività, contribuito alla progettazione grafica del simbolo e la scelta del nome, e infine organizzato l’inaugurazione e l’arrivo da Venezia delle due rappresentanti del Comune. Andando via verso casa in quel pomeriggio grigio, freddo, apparentemente triste di Sarajevo, ero felice e orgoglioso, di avere messo a disposizione delle Donne di Sarajevo, ma anche di quelle di Venezia, nel mio limite e nella mia condizione di uomo, le mie idee, la mia passione, le mie capacità, il mio lavoro, per realizzare un progetto a favore della rinascita di Sarajevo e soprattutto delle sue Cittadine ( anche solamente alcune, poche decine ogni anno ) rovinate nel corpo e nella mente da una Guerra disastrosa. Non avevo lavorato alla nascita del Centro Sunce per senso di colpa maschile, come a risarcire il Mondo Femminile, ma con una passione e convinzione della sua necessità: era un’idea nata da me, pur uomo, maschio, per le donne di Sarajevo, nata analizzando, ascoltando, studiando, vivendo in quella città semidistrutta da tre anni di assedio, nata assieme ad altri, donne e uomini, che mettevano a disposizione il loro lavoro, i loro caratteri, le loro professionalità e ruoli diversi. Forse in quei momenti, in quei mesi mi sentivo solamente ed essenzialmente un Essere Umano, ne Uomo ne Donna, una persona che lavorava per un’idea giusta in un progetto difficile. Infatti i problemi sono emersi presto: nella gestione dei primi mesi e anni, nella differenza di culture fra le esperienze e le condizioni italiane-veneziane e bosniache sarajevesi; nelle relazioni umane e gerarchiche fra le donne sarajevesi responsabili ( dalla Ministra Cantonale, alla Psicologa Supervisor, alle Direttrici della Associazione Femminile, alle tre Operatrici del Centro ); nelle strategie generali politiche, sociali e culturali del Governo Cantonale. Nel concepire quel Centro e le sue funzioni si sono incontrate non solo persone diverse per età, sesso, ruoli e responsabilità ma anche culture e storie diverse di Donne italiane e jugoslave. Le tre donne italiane, ( l’assessora, la direttrice e la psicologa ) di tre età diverse ma accomunate da una storia del movimento femminile e femminista e dall’esperienza concreta del Centro Donna di Venezia, hanno cercato di riproporre a Sarajevo un’idea di Servizio Pubblico basato sull’ascolto e sulla relazione solidale fra donne, ospiti e responsabili del nuovo Centro. Le quattro donne di Sarajevo ( la ministra, la psicologa supervisor, la presidentessa e la direttrice dell’associazione ) a loro volta erano diverse sia per origini ( serbe, croate, bosniache ) sia per convinzioni personali ed esperienze, hanno proposto ognuna di esse una accentuazione diversa delle attività : chi più terapeutica, chi più socio-assistenziale, chi più libera da schemi precostituiti. Infine le altre tre donne di Sarajevo ( selezionate come Personale del Centro attraverso un difficile percorso di mediazioni che comunque ha portato a scegliere geometricamente una serba , una croata e una bosniaca ) si sono trovate loro stesse, con diverse origini e formazioni professionali, a dovere mediare fra spinte parallele verso concezioni e pratiche di Servizio differenti. La specificità storica e culturale del dolore, del disagio, del dramma di migliaia di donne diverse della Città di Sarajevo, avrebbero richiesto forse una maggiore attenzione e un’articolazione del lavoro di Servizio nel Centro per favorire un intreccio fra l’esperienza occidentale, italiana, veneziana e quella balcanica, fra pratiche di ascolto e solidarietà femminile e pratiche di intimità, rispetto assoluto delle condizioni individuali di diffidenza, di pudore, di paura. Forse anche la velocità di realizzazione del Centro e la volontà di volerlo inaugurare simbolicamente per la giornata internazionale dell’8 marzo non hanno aiutato a raggiungere un giusto grado di approfondimento e di affiatamento del Gruppo di gestione. E così la relazione fra il Centro Sunce di Sarajevo e il Centro Donna di Venezia si è allentata mese dopo mese fino ad esaurirsi per l’impossibilità di accordo sulla gestione. Dopo alcuni anni il Servizio pubblico di assistenza alle donne è stato spostato in altre sedi ed il Centro si è trasformato in un Centro Cantonale per Giovani Tossico Dipendenti. Quando sono tornato a Sarajevo l’ultima volta, nell’ottobre 2005, ho visitato il Centro, sono entrato in quegli spazi e ho conosciuto un’altra donna che non avevo mai visto prima : la Direttrice di quel nuovo Servizio, accompagnata da un poliziotto in divisa. Le Donne di Sarajevo vanno ormai in altre strutture private e pubbliche nate negli anni in diversi quartieri, e quel Centro, unica struttura pubblica a loro dedicata nel 1999, è rimasto comunque un Servizio Pubblico di assistenza per altri destinatari : i Giovani in difficoltà, soprattutto ragazzi, maschi. Quasi a definire una relazione fra la drammaticità della condizione di migliaia di donne bosniache violentate dai soldati nemici e maltrattate dagli uomini di famiglia, e la fragilità disperata di giovani maschi sarajevesi succubi delle droghe per dimenticare se stessi e le loro responsabilità. Si ritorna agli Uomini e alla necessità di creare delle iniziative, non solo nelle aree post conflitti, che non si limitino all’assistenza estrema ma li spingano e li aiutino a cambiare e non solo nei riguardi delle donne. Ancora oggi però, dopo oltre otto anni dalla nascita di Sunce a Sarajevo, non credo siano nati dei “Centri Uomo”. In compenso in questi stessi anni, almeno in Italia, sono nati e finalmente resi più noti solo adesso, dei Gruppi e delle Associazioni di uomini che stanno cercando di capirsi, di autoanalizzare la loro crisi di identità, di praticare una autocoscienza maschile. L’AppelloUomini contro la violenza alle donne, pubblicato da alcuni quotidiani italiani il 19 settembre 2006, cui è seguito il primo incontro nazionale a Roma il 14 ottobre, è stata una novità importante che speriamo maturi e contamini la società italiana nella sua interezza, dai rapporti individuali delle coppie, alle amicizie, dai rapporti fra genitori e figli, alle relazioni di lavoro, dalla gestione aziendale alle istituzioni, ai partiti, quindi la Politica in senso ampio e positivo. Riporto il testo integrale dell’Appello perché è necessario mantenerne la completezza e per facilitare chi volesse sottoscriverlo a fine lettura senza doverlo cercare in altra sede.
Appello Nazionale del 19 settembre 2006.
La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come uominiAssistiamo a un ritorno quotidiano della violenza esercitata da uomini sulle donne. Con dati allarmanti anche nei paesi “evoluti” dell’Occidente democratico. Violenze che vanno dalle forme più barbare dell’omicidio e dello stupro, delle percosse, alla costrizione e alla negazione della libertà negli ambiti familiari, sino alle manifestazioni di disprezzo del corpo femminile. Una recente ricerca del Consiglio d’Europa afferma che l’aggressività maschile è la prima causa di morte violenta e di invalidità permanente per le donne fra i 16 e i 44 anni in tutto il mondo. E tale violenza si consuma soprattutto tra le pareti domestiche. Siamo di fronte a una recrudescenza quantitativa di queste violenze? Oppure a un aumento delle denunce da parte delle donne? Resta il fatto che esiste ormai un’opinione pubblica e un senso comune, che non tollera più queste manifestazioni estreme della sessualità e della prevaricazione maschile. Chi lavora nella scuola e nei servizi sociali sul territorio denuncia poi una situazione spesso molto critica nei comportamenti degli adolescenti maschi, più inclini delle loro coetanee femmine a comportamenti violenti, individuali e di gruppo. Forse il tramonto delle vecchie relazioni tra i sessi basate su una indiscussa supremazia maschile provoca una crisi e uno spaesamento negli uomini che richiedono una nuova capacità di riflessione, di autocoscienza, una ricerca approfondita sulle dinamiche della propria sessualità e sulla natura delle relazioni con le donne e con gli altri uomini. La rivoluzione femminile che abbiamo conosciuto dalla seconda metà del secolo scorso ha cambiato radicalmente il mondo. Sono mutate prima di tutto le nostre vite, le relazioni familiari, l’amicizia e l’amore tra uomini e donne, il rapporto con figlie e figli. Sono cambiate consuetudini e modi di sentire. Anche le norme scritte della nostra convivenza registrano, sia pure a fatica, questo cambiamento. L’affermarsi della libertà femminile non è una realtà delle sole società occidentali. Il moto di emancipazione e liberazione delle donne si è esteso, con molte forme, modalità e sensibilità diverse, in tutto il mondo. La condizione della donna torna in modo frequente nelle polemiche sullo “scontro di civiltà” che sarebbe in atto nel mondo. Noi pensiamo che la logica della guerra e dello “scontro di civiltà” può essere vinta solo con un “cambio di civiltà” fondato in tutto il mondo su una nuova qualità del rapporto tra gli uomini e le donne. Oggi attraversiamo una fase contraddittoria, in cui sembra manifestarsi una larga e violenta “reazione” contraria al mutamento prodotto dalla rivoluzione femminile. La violenza fisica contro le donne può essere interpretata in termini di continuità, osservando il permanere di un’antica attitudine maschile che forse per la prima volta viene sottoposta a una critica sociale così alta, ma anche in termini di novità, come una “risposta” nel quotidiano alle mutate relazioni tra i sessi.Un altro sintomo inquietante è il proliferare di mentalità e comportamenti ispirati da fondamentalismi di varia natura religiosa, etnica e politica, che si accompagnano sistematicamente a una visione autoritaria e maschilista del ruolo della donna. Queste stesse tendenze sono però attualmente sottoposte a una critica sempre più vasta, soprattutto – ma non esclusivamente – da parte femminile La recente cronaca italiana ci ha offerto alcuni casi drammatici, eclatanti che rivelano anche modi diversi di accanirsi sul corpo e sulla mente femminile. Una ragazza incinta viene seppellita viva dall’amante, che non vuole affrontare il probabile scandalo. Un fratello insegue e uccide la sorella, rea di non aver obbedito al diktat matrimoniale della famiglia. Un immigrato pakistano uccide la figlia, aiutato da altri parenti maschi, perché non segue i costumi sessuali etnici e religiosi della comunità. In alcune città si susseguono episodi di stupro da parte di giovani immigrati ma anche di maschi italiani. Sono italiani gli stupratori di una ragazza lesbica a Torre del Lago. Italiano l’assassino che a Parma ha ucciso con otto coltellate la ex fidanzata, che perseguitava da qualche anno. Ultimo caso di una lunga scia di delitti commessi in questi ultimi anni in Italia da uomini contro le ex mogli o fidanzate, o contro compagne in procinto di lasciarli. Il clamore e lo scandalo sono alti. In un contesto di insicurezza (in parte reale, in parte enfatizzata dai media e da settori della politica), di continua emergenza e paura per le azioni del terrorismo di matrice islamica e per le contraddizioni prodotte dalla nuova dimensione dei flussi di immigrazione, nel dibattito pubblico la matrice della violenza patriarcale e sessuale è stata spesso riferita a culture e religioni diverse dalla nostra. Molte voci però hanno insistito giustamente sul fatto che anche la nostra società occidentale non è stata e non è a tutt’oggi immune da questo tipo di violenza. E’ anzi possibile che il rilievo mediatico attribuito alla violenza sessuale che viene dallo “straniero” risponda a un meccanismo inconscio di rimozione e di falsa coscienza rispetto all’esistenza di questo stesso tipo di violenza, anche se in diversi contesti culturali, nei comportamenti di noi maschi occidentali. Si è parlato dell’esigenza di un maggiore ruolo delle istituzioni pubbliche, sino alla costituzione come parti civili degli enti locali e dello stato nei processi per violenze contro le donne. Si è persino messo sotto accusa un ipotetico “silenzio del femminismo” di fronte alla moltiplicazione dei casi di violenza. Noi pensiamo che sia giunto il momento, prima di tutto, di una chiara presa di parola pubblica e di assunzione di responsabilità da parte maschile. In questi anni non sono mancati singoli uomini e gruppi maschili che hanno cercato di riflettere sulla crisi dell’ordine patriarcale. Ma oggi è necessario un salto di qualità, una presa di coscienza collettiva. La violenza è l’emergenza più drammatica. Una forte presenza pubblica maschile contro la violenza degli uomini potrebbe assumere valore simbolico rilevante. Anche convocando nelle città manifestazioni, incontri, assemblee, per provocare un confronto reale. Siamo poi convinti che un filo unico leghi fenomeni anche molto distanti tra loro ma riconducibili alla sempre più insopportabile resistenza con cui la parte maschile della società reagisce alla volontà che le donne hanno di decidere della propria vita, di significare e di agire la loro nuova libertà: Il corpo femminile è negato con la violenza. Ma viene anche disprezzato e considerato un mero oggetto di scambio (come ha dimostrato il recente scandalo sulle prestazioni sessuali chieste da uomini di potere in cambio di apparizioni in programmi tv ecc.). Viene rimosso da ambiti decisivi per il potere: nella politica, nell’accademia, nell’informazione, nell’impresa. Lo sguardo maschile – pensiamo anche alle organizzazioni sindacali – non vede ancora adeguatamente la grande trasformazione delle nostre società prodotta negli ultimi decenni dal massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Chiediamo che si apra finalmente una riflessione pubblica tra gli uomini, nelle famiglie, nelle scuole e nelle università, nei luoghi della politica e dell’informazione, nel mondo del lavoro. Una riflessione comune capace di determinare una sempre più riconoscibile svolta nei comportamenti concreti di ciascuno di noi. Alberto Leiss ( Genova ), Marco Deriu ( Parma ), Sandro Bellassai ( Bologna ), Stefano Ciccone ( Roma ), Massimo Michele Greco (Roma ), Jones Mannino ( Roma ), Claudio Vedovati (Roma) (seguono oltre 700 firme di Uomini di tutta Italia raccolte da settembre a fine dicembre 2006 ) Per sottoscrivere www.maschileplurale.it
Quando questo appello è stato scritto e pubblicato e sono state raccolte le prime centinaia di firme ancora non era stato reso noto lo studio elaborato dall’ISTAT commissionato dal Governo che nel frattempo stava preparando una nuova Legge sulla Violenza alle donne. Il 21 febbraio scorso i dati sono stati presentati alla stampa e credo che pochi in Italia , donne e uomini, si aspettassero una fotografia così impressionante e negativa. Forse anche l’Appello sarebbe stato scritto con qualche passaggio di maggiore forza ma rimane comunque ancor più importante oggi che quell’Appello sia nato e riproposto alla luce dei dati emersi dall’inchiesta dell’ISTAT.
ISTAT dati 2006 sulla Violenza alle Donne in Italia www.istat.it Presentati alla stampa il 21 febbraio 2007 Indagine effettuata su un campione statistico di 25.000 intervistate. 6 milioni 743 mila le donne da 16 a 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita (il 31,9% della classe di età considerata). 5 milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), 3 milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%). Circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (4,8%). Il 14,3% delle donne con un rapporto di coppia attuale o precedente ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner, se si considerano solo le donne con un ex partner la percentuale arriva al 17,3%. Il 24,7% delle donne ha subito violenze da un altro uomo. Mentre la violenza fisica è più di frequente opera dei partner (12% contro 9,8%), l’inverso accade per la violenza sessuale (6,1% contro 20,4%) soprattutto per il peso delle molestie sessuali.
Nel 2006 il numero delle donne vittime di violenza ammonta a 1 milione e 150 mila (5,4%). Sono le giovani dai 16 ai 24 anni (16,3%) e dai 25 ai 24 anni (7,9%) a presentare i tassi più alti. Il 3,5% delle donne ha subito violenza sessuale, il 2,7% fisica. Lo 0,3%, pari a 74 mila donne, ha subito stupri o tentati stupri. La violenza domestica ha colpito il 2,4% delle donne, quella al di fuori delle mura domestiche il 3,4%.
Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner. Anche nel caso degli stupri la quasi totalità non è denunciata (91,6%). È consistente la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite (33,9% per quelle subite dal partner e 24% per quelle da non partner).
Le donne subiscono più forme di violenza. Un terzo delle vittime subisce atti di violenza sia fisica che sessuale. La maggioranza delle vittime ha subito più episodi di violenza. La violenza ripetuta avviene più frequentemente da parte del partner che dal non partner (67,1% contro 52,9%). Tra tutte le violenze fisiche rilevate, è più frequente l’essere spinta, strattonata, afferrata, l’avere avuto storto un braccio o i capelli tirati (56,7%), l’essere minacciata di essere colpita (52,0%), schiaffeggiata, presa a calci, pugni o morsi (36,1%). Segue l’uso o la minaccia di usare pistola o coltelli (8,1%) o il tentativo di strangolamento o soffocamento e ustione (5,3%). Tra tutte le forme di violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, ovvero l’essere stata toccata sessualmente contro la propria volontà (79,5%), l’aver avuto rapporti sessuali non desiderati vissuti come violenza (19,0%), il tentato stupro (14,0%), lo stupro (9,6%) e i rapporti sessuali degradanti ed umilianti (6,1%).
I partner sono responsabili della maggioranza degli stupri. Il 21% delle vittime ha subito la violenza sia in famiglia che fuori, il 22,6% solo dal partner, il 56,4% solo da altri uomini non partner. I partner sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate. I partner sono responsabili in misura maggiore anche di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro nonché i rapporti sessuali non desiderati, ma subiti per paura delle conseguenze. Il 69,7% degli stupri, infatti, è opera di partner, il 17,4% di un conoscente. Solo il 6,2% è stato opera di estranei. Il rischio di subire uno stupro piuttosto che un tentativo di stupro è tanto più elevato quanto più è stretta la relazione tra autore e vittima. Gli sconosciuti commettono soprattutto molestie fisiche sessuali, seguiti da conoscenti, colleghi ed amici. Gli sconosciuti commettono stupri solo nello 0,9% dei casi e tentati stupri nel 3,6% contro, rispettivamente l’11,4% e il 9,1% dei partner.
Sono più colpite da violenza domestica le donne il cui partner è violento anche all’esterno Hanno tassi più alti di violenza le donne che hanno un partner attuale violento fisicamente (35,6% contro 6,5%) o verbalmente (25,7% contro 5,3%) al di fuori della famiglia; che ha atteggiamenti di svalutazione della propria compagna o di non sua considerazione nel quotidiano (il tasso di violenza è del 35,9% contro il 5,7%); che beve al punto di ubriacarsi (18,7% contro il 6,4%) e in particolare che si ubriaca tutti i giorni o quasi (38,6%) e una o più volte a settimana (38,3%); che aveva un padre che picchiava la propria madre (30% contro 6%) o che a sua volta è stato maltrattato dai genitori. La quota di violenti con la propria partner è pari al 30% fra coloro che hanno assistito a violenze nella propria famiglia di origine, al 34,8% fra coloro che l’hanno subita dal padre, al 42,4% tra chi l’ha subita dalla madre e al 6% tra coloro che non hanno subito o assistito a violenze nella famiglia d’origine.
Le violenze domestiche sono in maggioranza gravi. Il 34,5% delle donne ha dichiarato che la violenza subita è stata molto grave e il 29,7% abbastanza grave. Il 21,3% delle donne ha avuto la sensazione che la sua vita fosse in pericolo in occasione della violenza subita. Ma solo il 18,2% delle donne considera la violenza subita in famiglia un reato, per il 44% è stato qualcosa di sbagliato e per il 36% solo qualcosa che è accaduto. Anche nel caso di stupro o tentato stupro, solo il 26,5% delle donne lo ha considerato un reato. Il 27,2% delle donne ha subito ferite a seguito della violenza. Ferite, che nel 24,1% dei casi sono state gravi al punto da richiedere il ricorso a cure mediche. Le donne che hanno subito più violenze dai partner, in quasi la metà dei casi hanno sofferto, a seguito dei fatti subiti, di perdita di fiducia e autostima, di sensazione di impotenza (44,5%), disturbi del sonno (41,0%), ansia (36,9%), depressione (35,1%), difficoltà di concentrazione (23,7%), dolori ricorrenti in diverse parti (18,5%), difficoltà a gestire i figli (14,2%), idee di suicidio e autolesionismo (12,1%). La violenza dal non partner è percepita come meno grave di quella da partner.
2 milioni 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking) Tra le donne che hanno subito stalking, in particolare il 68,5% dei partner ha cercato insistentemente di parlare con la donna contro la sua volontà, il 61,8% ha chiesto ripetutamente appuntamenti per incontrarla, il 57% l’ha aspettata fuori casa o a scuola o al lavoro, il 55,4% le ha inviato messaggi, telefonate, e-mail, lettere o regali indesiderati, il 40,8% l’ha seguita o spiata e l’11% ha adottato altre strategie. Quasi il 50% delle donne vittime di violenza fisica o sessuale da un partner precedente ha subito anche lo stalking, 937 mila donne. 1 milione 139 mila donne hanno subito, invece, solo lo stalking, ma non violenze fisiche o sessuali.
7 milioni 134 mila donne hanno subito o subiscono violenza psicologica1: l’isolamento o il tentativo di isolamento (46,7%), il controllo (40,7%), la violenza economica (30,7%) e la svalorizzazione (23,8%), seguono le intimidazioni nel 7,8% dei casi. Il 43,2% delle donne ha subito violenza psicologica dal partner attuale. Di queste, 3 milioni 477 mila l’hanno subita sempre o spesso (il 21,1%). 6 milioni 92 mila donne hanno subito solo violenza psicologica dal partner attuale (il 36,9% delle donne che attualmente vivono in coppia). 1 milione 42 mila donne hanno subito oltre alla violenza psicologica, anche violenza fisica o sessuale, il 90,5% delle vittime di violenza fisica o sessuale.
1 milione 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni il 6,6% delle donne tra i 16 e i 70 anni. Gli autori delle violenze sono vari e in maggioranza conosciuti. Solo nel 24,8% la violenza è stata ad opera di uno sconosciuto. Un quarto delle donne ha segnalato un conoscente (24,7%), un altro quarto un parente (23,8%), il 9,7% un amico di famiglia, il 5,3% un amico della donna. Tra i parenti gli autori più frequenti sono stati gli zii. Il silenzio è stato la risposta maggioritaria. Il 53% delle donne ha dichiarato di non aver parlato con nessuno dell’accaduto.
674 mila donne hanno subito violenze ripetute da partner e avevano figli al momento della violenza. Il 61,4% ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più episodi di violenza. Nel 19,7% dei casi i figli vi hanno assistito raramente, nel 20,1% a volte, nel 21,6% spesso. Mentre l’ISTAT pubblicava questi dati e il Governo elaborava una nuova Legge sulla Violenza alle Donne molto discussa pubblicamente per le differenze di valutazione sulla definizione e le casistiche della Violenza e sulle punizioni da prevedere, dentro una famosa Casa di Moda Italiana veniva concepita una nuova pubblicità fotografica di jeans a livello mondiale, che sembrava sfidare quelle cifre, che sembrava volerle dimenticare o esorcizzare trasformandole in un incubo senza riscontri reali :ma nella realtà i vestiti e i trucchi di quella foto sono molto più rovinati e segnati da una vera violenza e da un dolore che la moda non può credere e sperare di consolare incoscientemente.
Jeans e stupri, Moda e Cultura : una pubblicità internazionale Una ragazza è stesa per terra di schiena, il bacino alzato sulle gambe, il viso truccatissimo girato verso di noi che guardiamo la foto. Le sue braccia sono bloccate a terra da un primo Ragazzo in ginocchio che la costringe “elegantemente” in quella posizione. Altri quattro Ragazzi stanno in piedi attorno alla coppia per terra, immobili, freddi, indifferenti, eleganti, fasciati di jeans. Questa foto pubblicitaria di una nota coppia di stilisti italiani di grandissimo successo, è stata ritirata in Spagna e in Italia con l’accusa di istigazione alla violenza sulle donne: gli stilisti si sono difesi con arroganza e stupore dichiarando che l’Arte non è giudicabile con parametri etici, anche se subito dopo hanno chiesto scusa alle Donne. Il risultato è che il loro marchio sta subendo un colpo negativo di immagine per una parte della clientela che invece fino ad oggi li aveva considerati innovativi, moderni, positivamente trasgressivi. In verità ciò che colpisce di più in quella foto è proprio la freddezza della messa in scena di uno stupro di gruppo, rappresentato senza alcuna drammaticità, come un “gioco di ruolo” come una finzione nella finzione, dove la Ragazza “vittima” non sta soffrendo e i Ragazzi “carnefici” non stanno godendo. Contemporaneamente però “La sociologa americana Laura Kipnis sostiene nel suo ultimo libro “La cosa femminile” ( 2007 ) che sta esplodendo la contraddizione fra femminismo e Femminilità e nel saggio dedicato alla Vulnerabilità parla dell’abuso sessuale e della paura/desiderio delle donne di essere stuprate, chiedendosi se certi timori nascano già ”scritti” sul corpo femminile o facciano parte di una sorta di mitologia legata alle violenze sessuali” ( da “Potere o Push Up” di Benedetta Marietti in D Donna 23 dic. 2006 ) La Moda certamente punta sulle contraddizioni intime di ognuno di noi, maschi e femmine, ma troppo spesso gioca pesante per puri fini di convenienza economica rischiando di divenire corresponsabile di un rafforzamento di modelli comportamentali decisamente negativi che hanno dei risultati molto concreti nella vita di ogni giorno per milioni di persone. La Pubblicità prima citata ci fa pensare purtroppo anche alle decine di Video girati con cellulari da Adolescenti italiani Maschi mentre amoreggiano in coppia o in gruppo, a scuola o in città, messi subito in Internet, a volte addirittura venduti e commercializzati, con risvolti di denuncie da parte di insegnanti o genitori e crisi di relazioni familiari o amorose. Ma quegli Adolescenti Video-Ossessionati sono anche nostri figli, soprattutto i maschi: come stanno crescendo ? Noi genitori, parenti e amici, la scuola, la televisione, la comunicazione,la pubblicità, la moda, l’arte, la politica, come li stiamo e li stanno plasmando? Maschile e Femminile = Uomini e Donne ? “Padri e figli: l’identità necessaria per affermarci” “Nei processi di autonomia femminile accade spesso che scompaia la cultura del padre. Parlare di potere del padre e di dominio maschile o di identificazione con codici maschili non vuol dire avere nostalgia dei ruoli forti. E’ importante capire cosa un padre deve oggi raccontare di maschile per fare emergere il genere e il ruolo nel processo di identificazione di un figlio maschio, nel rapporto con la sua donna e con le figlie femmine. C’è il rischio che i maschi abbandonino il terreno del confronto con il femminile e ricerchino una identificazione debole, riparata”. (da “La Salute” supplemento de La Repubblica, rubrica “Lei e Lui” di Roberta Giommi ) Da poco pubblicato in Italia agli inizi del 2007, dopo un grande successo in Francia, “l’Uomo Maschio” del giornalista Eric Zemmour, propone una analisi molto provocatoria in merito a ciò che la psicosessuologa Giommi scrive nella sua rubrica sopra citata. Zemmour descrive una società francese, europea, occidentale, femminilizzata, succube del femminismo e dell’omosessualità, in cui gli Uomini si sono persi, stanno appunto rinunciando alla maschilità o alla mascolinità a favore di un avvicinamento alla sensibilità ed al comportamento femminile perdendo paradossalmente ruolo e senso e alla fin fine non facendo neanche un favore alle donne. Zemmour invita gli uomini e i giovani maschi soprattutto a riscoprire la virilità a rischiare la responsabilità maschile. Usa toni ed esempi forzati e abbastanza fastidiosi che però toccano pezzi di verità: l’alternativa al Maschio Tradizionale Occidentale non può essere l’imitazione della Donna. “E’ una vittoria di Pirro : persi i privilegi gli Uomini si disfano anche dei doveri che vi erano affiancati”. Credo che il limite e la forte contraddittorietà di Zemmour stiano proprio nell’oscillare continuamente da una analisi acuta delle trasformazioni culturali in atto ad una reazione propositiva statica che gioca sulla provocazione e su una sorta di nostalgia per un Mondo perduto, senza riflettere sulla positività del dinamismo contemporaneo, sulla sua grande potenzialità accanto ai suoi grandi rischi. Il libro così propone una visione rigida e schematicamente binaria dell’Umanità, di stampo informatico-fondamentalista, basato su un sistema 0-1, M-F, entità basiche che si alternano e si contrappongono generando la vita. L’Omosessualità viene considerata e vissuta esclusivamente come rimedio, rinuncia o addirittura quasi come malefica devianza, dimenticandosi di quanta altissima cultura sia nata proprio grazie a sensibilità particolari di omosessuali determinanti per la Storia dell’Umanità, da Platone a Leonardo da Vinci, fino ai più recenti e suoi connazionali Michael Foucault e Roland Barthes, solo per citarne alcuni, e ricordando inoltre che lo stesso concetto e pratica dell’”Omosessualità” ha vissuto molte variazioni e modificazioni sia nella Storia ( dal mondo Greco e Romano attraverso il Rinascimento verso la Modernità e la Contemporaneità ) che nella Geografia ( dal pudore delle Culture Asiatiche alla bisessualità e poligamia parallela delle Culture Arabe ). Zemmour sintetizza provocatoriamente con assoluta radicalità :“Gli omosessuali rappresentano l’Umanità futura: la femminizzazione degli uomini è l’ultimo passo di un progetto in cui l’Uomo sarà senza radici né razza, senza frontiere né paesi, senza sesso né identità, un cittadino del mondo meticciato e asessuato, un Uomo campato in aria !”. E invece noi uomini, noi maschi e la società in cui viviamo, abbiamo bisogno urgente di ripensare e creare giorno per giorno nuove identità maschili in nome e nel segno del pensiero della differenza maturato dalla storia del femminismo internazionale, dalla filosofia, l’antropologia, la biologia, contemporanee. Ridefinire la nostra differenza e i nostri valori nel riconoscimento speculare di quelli delle donne, degli omosessuali, dei transessuali: nuove identità maschili nasceranno dalla comprensione delle mutazioni in atto, della liberazione di energie dinamiche che ci porteranno alla nascita e riconoscimento pubblico e perfino istituzionale di un numero di Generi Umani non più limitato alla sola binomia Maschile - Femminile. Solo attraverso questa coscienza dei mutamenti individuali e sociali noi uomini potremo creare, progressivamente, nuove figure, tipologie, identità maschili dinamiche, diverse dal passato. Diverse dai timbri esclusivi della “forza”, della “razionalità”, della “durezza”, del “potere”, del “possesso”, senza rinunciare a tutte queste componenti che peraltro appartengono sempre più anche alle Donne, ma facendo emergere ed esprimere maggiormente anche altre componenti spesso represse dell’Umano : fantasia, creatività, follia, volontà, generosità, rispetto, umiltà, plasticità, elasticità. Scopriremo che la forza, la bellezza, la gioia, la serenità, il fascino, la resistenza di un Essere Umano stanno proprio nella sua varietà, nella ricchezza, la multiversità, la dinamicità, la disponibilità, e nel riconoscimento della necessità di completamento, di scambio, di comunicazione con altri esseri umani, fisiologicamente, caratterialmente, tipologicamente, storicamente, diversi, siano essi femmine, maschi, omosessuali, bisessuali, transessuali. Credo e sento sempre di più alla mia età, 54 anni, che uno dei grandi problemi della nostra cultura ( occidentale, italiana e maschile ) non solo in ambito sessuale e nelle relazioni affettive, sia quello della rigidità, dello schematismo, della staticità concettuale. Ci consideriamo, e consideriamo gli altri, l'Essere Umano, come un blocco unico, statico, identificabile una volta per sempre, con una identità fissa, precisa e semplificata, ad esempio uomo ( genere ), 50 enne-30 enne ( età ), professore, disoccupato ( professione ), sposato- singolo ( stato di relazione ), di sinistra-di destra ( ideali ), di Roma ( geo-origine ), intelligente, stupido, simpatico, antipatico ( caratteristiche identitarie), etc..... In verità ognuno di Noi è veramente Uno, Nessuno, Centomila persone dentro e fuori di sé ed anche nelle relazioni sessuali e affettive questo Multiplo ha bisogno di continue variazioni lungo la sua vita, i periodi, le giornate e perfino i momenti ( Il grande siciliano Pirandello anche aveva elaborato una concezione dell’Essere Umano molto moderna ). Affettivamente ed eroticamente ( come in altri aspetti della propria vita relazionale ) si può sentire il bisogno di essere alternativamente, duri e morbidi, forti e deboli, violenti e dolcissimi, pazienti e impazienti, attenti, altruisti, generosi e terribilmente esigenti ed egoisti autocentrati, indifferenti e insensibili o sovraeccitati ed esplosivi. Questa grande varietà di Identità, di personalità, di espressioni del Sé, così dinamica, elastica e ricca di sfumature e di passaggi improvvisi e inaspettati in se stessi e negli altri, è una grande ricchezza Umana che invece tendiamo a reprimere, a limitare, gestire, castrare, ( forse proprio più noi uomini che le donne e gli omosessuali ), per paura di impazzire, per paura di essere vissuti come persone indefinibili e non identificabili, inaffidabili, instabili, etc. e quindi non trattabili con la relativa costanza e coerenza. Credo sempre più nella importanza della casualità, della variabilità, della dinamicità, della capacità di ognuno di conoscersi e di vivere le proprie sfaccettature come ricchezze, certamente senza impazzire veramente, senza traumatizzare se stessi e gli altri, ma proponendo la varietà come sorpresa e come energia. In questa idea-pratica di Identità Multiple non schizofreniche della persona e del nuovo uomo maschio da scoprire e ricreare, intravedo la possibilità di far nascere relazioni umane ed anche sessuali più piacevoli, serene, paritarie senza schemi e ruoli statici e in fondo noiosi e disumani. E forse il piacere fisico e psichico di un rapporto sessuale si libera proprio attraverso il riconoscimento di tali dinamismi, di tale libertà di espressione condivisa da i due partner, chiunque siano.
Maschile Plurale: una Associazione italiana che nasce ragionando sulla Violenza L’Appello nazionale contro la violenza sulle Donne per una responsabilizzazione degli Uomini è l’origine della nascita della nuova associazione italiana Maschile Plurale che riunisce da poco decine di uomini impegnati da anni in un processo di autocoscienza e di attività pubbliche in diverse parti d’Italia per provare a creare nuove soggettività maschili: “- promuovere una riflessione individuale e collettiva tra gli uomini, di tutte le età e condizioni, nelle famiglie, nel mondo del lavoro, nelle scuole e nelle università, nei luoghi della politica e dell’informazione; - determinare e facilitare una svolta nei comportamenti concreti di ciascuno di noi, con le nostre diverse identità; - provocare l’assunzione di responsabilità pubbliche e private. - favorire la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini di tutti i generi ed età, alla vita politica, esercitando i diritti ed utilizzando gli strumenti che la Costituzione e le leggi prevedono e garantiscono.” ( dall’ Art. 2 dello Statuto ) Nel far nascere l’associazione, discutendo della sua denominazione abbiamo ragionato molto sulla differenza fra una dicitura che esprimesse la contrarietà alla Violenza sulle Donne e un’altra che esprimesse la contrarietà alla Violenza in assoluto, quindi anche contro i bambini, contro ogni persona di età e genere, contro gli animali, contro la natura. Discutendo abbiamo scoperto che il passaggio dalla coscienza della negatività del Genere Umano Maschile violento con il Genere Femminile alla coscienza del rifiuto della Violenza come disposizione maschile verso il mondo nel suo complesso, non fosse immediato e scontato. Stiamo ancora discutendo e lo faremo ancora in privato e in pubblico proprio per capire assieme, fra uomini ma anche fra uomini e donne e chiunque voglia partecipare, che relazione intima, profonda, genetica, inevitabile o meno, vi sia nello “statuto” della mascolinità con l’essere violenti. Il provocatorio giornalista francese Zemmour sostiene appunto che l’essere maschio senza violenza, senza la pulsione innata di annientare l’Altro ( maschio o femmina che sia, essere vivente animale, vegetale, minerale che sia ), senza un rapporto con la morte non è possibile pena la rinuncia, il superamento della dicotomia naturale dei due generi, maschi e femmine, che stanno e devono rimanere alla base della vita umana su questo pianeta. Non basta reagire e rispondere a Zemmour, o ad altri pensieri simili contemporanei, che lui è un reazionario, maschilista, conservatore. Ma come reagirebbe invece il Gladiatore Zemmour alla pubblicità di un Corso di Autodifesa per sole donne appoggiato sul bancone della ricezione di un club sportivo italiano, a pochi giorni dall’8 marzo 2007 ? Violenza - Non Violenza e Identità di genere Il piccolo volantino stampato su carta rosa annunciava : “DIFESA DONNA . Corso di antiaggressione femminile. “Ad un uomo non capita mai di camminare per strada ed avere paura di una donna. Per una donna invece ogni uomo che incontra può essere un potenziale aggressore ! “ Leggere un simile avviso mi ha ricordato che in quanto uomo posso essere considerato un “pericolo” e non solo una persona come un’altra o un oggetto di curiosità e attrazione. L’avviso esagera ed estremizza ( la potenzialità negativa di un qualsiasi uomo che una donna incontra dipende dai luoghi, dagli orari, dalle situazioni ) ma contiene un nucleo di verità : nella relazione fra i due soggetti, uomo e donna, la seconda è comunque oggettivamente più in pericolo fisico. I dati dell’ultima indagine ISTAT nazionale raccontano un’Italia impressionante, confermata purtroppo dalla cronaca quotidiana che ripropone casi sempre più eclatanti ma significativi. Si potrebbe arrivare a pensare che accanto agli Stupri Etnici concentrati nello spazio e nel tempo della storia di conflitti fra Popoli, nel presente e nel passato, esista uno “Stupro Etico” diffuso e perenne da parte della popolazione maschile media di un Paese come il nostro verso la popolazione femminile, basato sull’etica del possesso “arricchitasi” recentemente di una cultura della vendetta, dell’invidia, della frustrazione come reazione alla progressiva, seppur parziale e contraddittoria, emancipazione e liberazione delle energie femminili nelle società occidentali. Dal vocabolario della Lingua Italiana Zingarelli: “Etica : insieme delle norme di condotta pubblica e privata che, secondo la propria natura e volontà, una persona o un gruppo di persone, scelgono e seguono nella vita.” Siamo abituati a considerare “etico” come un termine automaticamente positivo quando invece proprio la definizione citata ricorda che esso non esprime per forza un buon giudizio di valore: volutamente quindi propongo di definire “etico” lo stupro silenzioso e diffuso di milioni di uomini italiani ai danni di milioni di donne italiane, perché è proprio parte della loro “etica” secondo la quale è “normale”, appartiene alla norma maschile imporre anche con la violenza il loro volere godere. Stupri “Etnici” e Stupri “Etici” :propongo un altro dubbio sulla “facilità” con la quale si definiscono Etnici sia gli stupri sia le guerre o i conflitti in diverse parti del mondo. In un bellissimo libro di dieci anni fa una donna, storica e sociologa bulgara, Maria Todorova, interpretava la storia delle relazioni fra i Balcani e l’Occidente europeo-americano, come un sistema di scaricamento storico collettivo delle “nostre” colpe e negatività interne addosso ai Popoli dei Balcani come “diavoli” responsabili esterni da accusare e indicare come “male”, come “nemici”, come “esempi negativi” da isolare, da cui difendersi, e al massimo da “aiutare”. Le recenti Guerre dei Balcani, e la relativa dissoluzione della Jugoslavia, sono state per gran parte interpretate come effetti drammatici di cause tutte endogene con origini etnico religiose, senza ammettere grandi responsabilità di tutta la Comunità Internazionale nella sua varietà e influenza. Anche la violenza sulle donne in Bosnia è stata esclusivamente etichettata come violenza di Maschi-Serbi-Cristiani-Ortodossi su Femmine-Bosniache-Musulmane e quindi come Stupro Etnico. Il che è certamente vero e dimostrato. Ma il dato più grave è quello della “qualità” etnico-religiosa o la accoppiata “universale” Guerra-Maschio contro Pace-Femmina ? Definire Stupro Etnico ciò che è avvenuto in Bosnia, come in altri conflitti di altre zone del mondo, è un modo in fondo tutto “maschile” di colpevolizzare intere culture e popoli proprio per discolparsi come Uomini Guerrieri di qualsiasi Nazione, Etnia, Religione, per scaricare appunto sulla Storia e sulla Geografia la loro responsabilità di violenza di genere. Tornando allo Stupro “Etico” nell’Italia di oggi, il problema è invece quello di capire se il termine “Stupro” sia appropriato. Certamente lo stupro subito da quelle 25.000 donne bosniache durante la Guerra di oltre dieci anni fa, è stata un’ esperienza terribile e più traumatica di quella dichiarata dai 5 milioni di donne italiane. Ma in qualche modo sempre di Stupro si tratta, ed anche in questo caso ricorriamo al significato originale delle parole : “Stupro, accoppiamento sessuale imposto con la violenza” ( Zingarelli ). Le quantità non hanno peso e valore di confronto ma indicano la necessità di connessione fra attenzione, analisi, azione nei riguardi di entrambi i fatti, in paesi e territori diversi. Che relazione c’è fra l’eccezionalità dello Stupro Etnico durante una guerra, subito fortunatamente da una minoranza di donne e la normalità di uno Stupro Etico Nazionale subito da milioni di donne lungo la loro vita ? A volte si ha l’impressione che noi occidentali, europei, italiani, uomini e donne, ci indigniamo e impressioniamo di più, reagiamo e ci impegniamo di più di fronte allo Stupro Etnico in Bosnia o in un altro Paese che non dei nostri dati Istat, delle nostre relazioni quotidiane, delle nostre famiglie “normali”, così osannate e protette ad ogni occasione. La drammaticità estrema di un fatto lontano diventa quasi un agente di distrazione e di auto assolvimento per la nostra carica di negatività. Ma gli uomini bosniaci, serbi, croati, di ogni età, di ogni ruolo e professione, protagonisti attivi o passivi, come stanno reagendo, cosa stanno facendo e potrebbero fare in quanto uomini ? Perché non partecipano pubblicamente ad un moto di autoanalisi e di cambiamento ? Alcuni lo stanno facendo e noi non lo sappiamo ? Lo spero. E noi uomini italiani in particolare cosa abbiamo da pensare, da dire, da fare ? Noi singoli, noi mariti, noi compagni, noi fidanzati, noi fratelli, noi padri, noi figli, noi amici, noi maestri, insegnanti, professori, giornalisti, artisti, dirigenti, colleghi, noi tifosi, noi consumatori, noi spettatori, noi politici, …………………… noi, cosa stiamo facendo, come stiamo vivendo per rimanere uomini, per riscoprire una mascolinità in cui la forza non coincida con la violenza, la determinazione con la sopraffazione, la grinta con la cattiveria, la tenacia con la testardaggine, la convinzione con la rigidità, l’intelligenza con la furbizia, la passione con la patologia, il desiderio con la cecità, l’immaginazione con la follia, il coraggio con l’incoscienza, il piacere con l’ossessione ? Alcuni di noi stanno provando a riflettere, a scambiarsi dubbi, convinzioni, esperienze, cercando strade nuove che rilancino la vitalità delle diversità di genere per un arricchimento reciproco delle singole personalità e della società nel suo insieme. Per una Bibliografia Todorova Maria “Immaginando i Balcani” ed. Argo-Lecce 2002 ( ed. orig Oxford Univ. Press 1997 ) Zemmour Eric “L’uomo maschio” ed. Piemme 2007 ( ed. orig. Denoel 2006 )
Sarajevo da una finestra dell'Ambasciata d'Italia - ottobre 2005 - foto PAGI
|
Foto e testi di Gianguido PAGI
Palumbo
last update:
23/05/2011 11.07.16