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LABORATORI
di scrittura
Palermo 2006
Roma dicembre 2004 - aprile 2005
LABORATORIO DI SCRITTURA CON ANZIANI
Le Strade della Memoria
5 giorni di Laboratorio in cui: Primo incontro Quinto Incontro - conclusione con la presentazione pubblica di alcuni brani dei testi accompagnati dalle fotografie
Il Libro realizzato e pubblicato ____________________________________________________________________________
“Accura ca c’è ‘u lippu e sciddichi!“ ( Stai attento che c’è il muschio e scivoli )
Laboratorio di scrittura con un Gruppo di Anziani a Brancaccio
Ideato e condotto da Gianguido Palumbo
In collaborazione con Il Centro Padre Nostro ( Don Puglisi ) di Brancaccio
Per LIBR’ARIA “Aria di Libri” II a Edizione
Comune di Palermo - Biblioteca Comunale
18 - 23 Aprile 2005
INDICE GENERALE
IL LABORATORIO DI SCRITTURA pag. 3
BRANCACCIO pag. 9
RICORDI E RIFLESSIONI pag. 13
VITE PARALLELE pag. 19
FINALE GASTRONOMICO pag. 40
Le fotografie sono state scattate da Gianguido Palumbo durante le giornate di Laboratorio
Via Brancaccio : appena fuori dalla Sala Mensa del Centro Padre Nostro dove si è svolto il Laboratorio di Scrittura.
IL LABORATORIO DI SCRITTURA
E’ da quasi quindici anni, dal 1990 circa, che a Brancaccio tutti i mercoledì dopo le quattro di pomeriggio, alcuni anziani si ritrovano nei locali che oggi sono del Centro Padre Nostro, creato da Don Puglisi, sacerdote sulla via della beatificazione dopo la morte violenta del 1993. In un quartiere di migliaia di abitanti, nato e cresciuto in mezzo e al posto dei giardini di aranci, limoni e mandarini, alcune decine di donne e uomini fra i 60 e i 90 anni hanno scoperto il piacere di stare assieme, anche fra sconosciuti, per condividere problemi e sorrisi, storie e affetti, solitudini difficili da sopportare e ricordi. Quando nel gennaio 1993, dopo tre anni di impegno, Padre Puglisi e alcuni uomini e donne di diversa età del quartiere riuscirono a far nascere concretamente un vero e proprio Centro di Accoglienza e di Socializzazione, il mercoledì degli Anziani è rimasto un appuntamento fisso e a poco a poco si è esteso a quasi tutti i pomeriggi, sempre fra le quattro e le sei, nei locali del Centro: incontrarsi, stare assieme, giocare a carte, dipingere, fare ceramica e poi ginnastica e altre attività ricreative. Nei primi anni del 2000 anche la Biblioteca Comunale di Palermo si è attivata in collaborazione con il Centro Padre Nostro, per un esperimento di Lettura: il libro di Dacia Maraini, Marianna Ucria, fu letto e commentato nell’arco di alcune settimane, ascoltando le parole della famosa autrice siciliana.
Il Laboratorio di scrittura che si è svolto da lunedì 18 a venerdi 22 aprile 2005 presso il Centro Padre Nostro, è nato da una consonanza di idee fra più persone e strutture:
--“Libr’aria”, libreria e centro di promozione culturale palermitano, ideatrice e curatrice della manifestazione annuale ARIA DI LIBRI, finanziata dal Comune di Palermo, e basata proprio sulla organizzazione di laboratori di lettura e di scrittura in diversi luoghi e contesti della città.
--La Biblioteca Comunale di Palermo che gia da alcuni anni cerca di rivitalizzare le proprie sedi decentrate in alcuni quartieri popolari della città, fra i quali proprio Brancaccio.
--Chi scrive, in quanto autore di due romanzi brevi * con protagonisti Anziani, in quanto ideatore-conduttore di un Laboratorio di Scrittura basato sulla memoria e sulla modificazione della Città negli ultimi cinquant’anni.
L’attenzione verso gli Anziani, i Vecchi, la Terza Età, comunque li si voglia chiamare, è cresciuta in me già da molto tempo come sentimento misto di rispetto, di affetto ma anche di piacere e bisogno : apprendere, ascoltare, analizzare per capire le storie, le esperienze, le idee di chi ha vissuto prima e più di noi, compreso il fascino della Maturità. In un mondo sempre più interconnesso, stimolante, ma difficile da vivere, la “sapienza” e a volte la saggezza di chi ha settanta, ottanta, novantanni, mi è apparsa più che mai necessaria: l’energia dei bambini e la sapienza dei vecchi potrebbero ancora aiutarci molto, le mediocrità degli adulti molto meno. In due libri di racconti, fra il 2001 e il 2004, ho trasformato questo sentimento e questa sensibilità in storie di uomini e donne anziani, in due paesi diversi, la ex Yugoslavia in trasformazione e l’Italia di oggi. Presentando le pubblicazioni in diverse città negli ultimi due anni ho incontrato e discusso con gruppi di anziani ed è cresciuta l’idea di fare scrivere loro, direttamente, attraverso il mio aiuto. E così è nato il Laboratorio di Brancaccio, con storie di vita che qui sono trascritte.
Siamo stati assieme cinque giorni, dalle quattro alle sei di pomeriggio, due ore al giorno: dieci ore in tutto, molto poche. Ma ognuno di noi, a casa propria, ha pensato, ha scritto, ha riletto, e quelle dieci ore assieme sono diventate solamente una parte dell’esperienza. In soli cinque giorni è nato un rapporto di fiducia e di interesse, forse anche di affetto. Avevo proposto di coinvolgere dieci Anziani per potere dedicare più attenzione ad ognuno dei partecipanti ma il Laboratorio ha seguito e rispettato la “vita” di una piccola comunità esistente da anni: non si poteva selezionare, scegliere chi far partecipare e chi no. Il primo giorno sono arrivate otto persone, sette donne e un uomo, fra i 60 e gli 80 anni. Il secondo erano quindici, il terzo, mercoledì, venticinque, il quarto quindici e il quinto solo sei perché il Centro aveva organizzato da tempo una gita a Cefalù che ha coinvolto la maggioranza degli Anziani, tranne i fedelissimi. Durante i cinque incontri pomeridiani sono state sempre presenti a turno alcune delle giovanissime ragazze volontarie del Centro Padre Nostro: Valentina, Antonella, Claudia.
Il primo giorno
E’ stato interamente dedicato alla conoscenza reciproca: io mi sono presentato, ho raccontato chi ero, che storia avevo, che lavoro svolgevo, che libri avevo scritto, che altre esperienze di laboratori e incontri con Anziani. Ognuno dei partecipanti si è “presentato” raccontando brevemente come si chiamava, dove era nato-a, che lavoro aveva fatto, e dove viveva in quel momento. Qualcuno aveva portato delle fotografie della propria vita : le avevo chieste agli organizzatori per proporre un confronto individuale e poi di gruppo sulle modificazioni della loro vita e della città negli ultimi cinquanta anni. Solo tre persone avevano fotografie e non tutti da giovani avevano vissuto a Palermo. Le foto quindi sono rimaste come facilitatrici di ricordi. Riscaldato il clima, rotto il ghiaccio, superata la diffidenza, abbiamo concordato cosa scrivere a casa per l’incontro dell’indomani: date le differenze di età e di storie individuali, abbiamo deciso di scrivere qualche ricordo di un anno in particolare, il 1971, trentaquattro anni fa, perché all’epoca tutti vivevano già a Brancaccio. In seguito l’attenzione si sarebbe rivolta verso la vita attuale, i loro sogni e la loro identità siciliana.
Il secondo giorno
Abbiamo riassunto brevemente alle nuove presenze, ben sette persone, il primo incontro e il programma di attività del Laboratorio. Poi abbiamo letto assieme, con l’assenso delle autrici-tori, le pagine scritte a casa, commentando e arricchendo di ricordi e riflessioni quelle memorie. E infine ognuno, chi voleva e poteva, ha scritto in silenzio per circa un’ora altre pagine relative alla vita attuale di ogni giorno: dal risveglio al riaddormentamento, con eventuali sogni notturni e sogni-desideri per il futuro. Alcune persone non erano in grado di scrivere o non volevano farlo e partecipavano al laboratorio solo per la curiosità e il piacere di stare assieme.
Il terzo giorno
Ritrovandoci in venticinque, in quel famoso mercoledì di una lunga tradizione consolidata, abbiamo nuovamente fatto un riassunto-presentazione del Laboratorio, letto alcune pagine scritte il giorno prima ed alcuni brani dei due libri scritti dal Conduttore del Laboratorio. Infine abbiamo concordato per l’indomani di completare a casa la scrittura sulla vita d’ogni giorno, sui sogni notturni e su quelli diurni.
Il quarto giorno
Ritornati ad essere quindici abbiamo letto alcune pagine scritte a casa dedicate ai ricordi di oltre trent’anni prima e scritto in silenzio individualmente altre pagine sulla vita e sulla “sicilianità” discutendo animatamente su orgogli e pregiudizi.
Il quinto giorno
Con sole sei persone presenti non andate in Gita, più la presenza “straordinaria” di mia madre ottantaduenne, abbiamo continuato a raccontarci, a voce, alcuni frammenti della storia di Brancaccio e abbiamo scritto tutti assieme al Computer una Ricetta di Cucina siciliana, palermitano-brancaccese, come finale significativo di scrittura collettiva: “Le Melanzane Ammuttunate”.
I testi di ogni partecipante risultano così suddivisi in quattro piccole sezioni: - vita d’ogni giorno - sogni e desideri - ricordi - identità siciliana
Il titolo del Laboratorio “Accura ca c’è u lippu e sciddichi“ è nato durante il secondo incontro quando Teresa raccontava del suo viaggio a Venezia da giovane: lì c’era molto “lippu” ed era pericoloso camminare in certi punti. È scattata la memoria di un famoso detto siciliano a doppio senso: stai attento al terreno scivoloso ma soprattutto stai attento al pericolo, accorgitene in tempo, chè sennò ti fai male. Ad ognuno di noi l’individuazione tempestiva del “Lippu” per non scivolare e farsi male, ovunque, a Brancaccio, a Palermo, a Venezia come a Roma o a Bologna.
* Di Gianguido Palumbo :
“Andrej a Belgrado” ed. Ediesse-Roma 2002 Sulla vita di nove anziani, donne e uomini, nella capitale della Serbia del 2001, dopo la caduta del regime di Milosevic.
“ Amparo dove vai” ed. Ediesse-Roma 2004 Sulla vita di due anziani, un uomo e una donna, e i due assistenti “badanti” stranieri immigrati nella Roma del 2004.
Via Brancaccio: l’ingresso ai locali della Mensa.
BRANCACCIO L'attuale quartiere Brancaccio si estende in una porzione di quella vasta area suburbana che a partire da XIII sec. era genericamente chiamata "Contrada Cassarorum". A partire dal XVII secolo si assiste alla creazione, da parte della nobiltà, di numerosi villaggi e tra questi Brancaccio. Il quartiere prende il nome dal governatore e amministratore della città di Monreale : Antonio Brancaccio, proprietario di vasti appezzamenti di terra nella contrada . Egli nel 1747 farà costruire la chiesa dedicata a S.Anna che, successivamente divenuta parrocchia, verrà intitolata a S.Gaetano da Thiene e a Maria SS del Divino Amore. La famiglia Brancaccio, di origine napoletana, si era stabilita a Palermo nel corso del XIV sec.. Dopo il 1860 , la città è divisa in sei mandamenti, quattro interni: Tribunali, Castellamare, Monte di Pietà e Palazzo Reale e due esterni: Molo e Oreto. La Borgata insieme con quella di Mezzomonreale, Porrazzi, Conte Federico, Falsomiele, Villagrazia, faceva parte del mandamento Oreto. Nel 1873 abitavano in Brancaccio 446 persone secondo i dati del Censimento. Il quartiere aveva inizio fuori Porta Garibaldi, con Corso dei Mille da dove il 27 maggio del 1860 entrò Garibaldi in città con i suoi Mille, e proprio sotto gli archi del Ponte Ammiraglio, (interessante manufatto di epoca normanna costruito tra il 1113 e il 1132 che sino al 1876 sovrastava il fiume Oreto prima che il suo corso fosse deviato) si scontrarono all'arma bianca i garibaldini e le truppe borboniche. Esistevano nel quartiere dei mulini e pastifici, oggi non più in uso: Pecoraino, Giarrizzo, Petix. Nel quartiere esistono tuttora due lavatoi, uno si trova in Via Brancaccio e l'altro in Via Conte Federico. Uno dei monumenti più importanti del quartiere è il Castello della Favara. Costruito (secondo l'Amari) come residenza di campagna dall'Emiro Giafar (997-1019). Ruggero II (1130-1154) ampliò e trasformò l’edificio, vi aggiunse una cappella ed ingrandì la peschiera artificiale. Originariamente, il castello era circondato da un lago artificiale e da giardini rigogliosi, alimentati dalle acque delle sorgenti (da cui Favara dall'arabo FAWARA= sorgente) del vicino Monte Grifone, che incanalate, sgorgavano dai tre archi, oggi visibili, nei pressi della chiesa di San Ciro. Ancora oggi rimane traccia delle banchine che delimitavano lo stesso lago; al centro un'isola di forma allungata lo divideva in due. Intorno alla vegetazione lussureggiante, formata da agrumeti e palme, il castello si rispecchiava nelle limpide acque animate da pesci e uccelli esotici. L'ambiente meglio conservato è la Cappella, intitolata a San Filippo. E' a navata unica, attestata su uno stretto santuario triabsidato coperto da una cupoletta coronata da una cimasa a mensole. La costruzione è coperta da volte ogivali, sistema usato in tutti gli altri vani dell'ordine basso del palazzo. La realizzazione fu sicuramente affidata a maestranze di cultura fatimita. Altro monumento che un tempo sorgeva isolato nella campagna palermitana, nelle vicinanze del quartiere, e' la chiesa di San Giovanni dei lebbrosi che fu fondata da Roberto il Guiscardo e dal fratello Ruggero nel 1071, anno della conquista normanna di Palermo, avvenuta dopo cinque mesi d'assedio. Federico II concesse chiesa ed ospedale all’Ordine Teutonico della Magione. Tra il 1920 e 1930 l’edificio verrà restaurato e saranno eliminate le aggiunte barocche. L’edificio presenta una pianta basilicale a tre navate divisa da robusti pilastri che formano due serie di quattro arcate a sesto leggermente acuto. Riferibile al periodo arabo è invece la cosiddetta Grotta della Regina Costanza, in via dei Cavallacci. All'ingrottato si accede attraverso una scaletta scoperta intagliata nel tufo, al piede della quale sino a qualche anno fa, scaturiva una polla d'acqua freschissima. Segue una grotta di forma circolare. dalla quale si penetra in grotticelle minori. Le pareti della scala sono decorate con frammenti marmorei e pannelli di ceramica in stile pompeiano. Il tutto chiaramente rivela una riutilizzazione in tempo non molto antico, ottenuta anche mediante la decorazione con materiale eterogeneo e di varia provenienza. Chi aveva operato questa trasformazione creò anche la favola della Regina Costanza, che secondo quanto ancora vi riferiscono gli abitanti della zona, dal non lontano Castello di Maredolce, attraverso un viale fiancheggiato da palme, si recava nella grotta per bagnarsi nelle fresche acque della sorgente. Autore di quest'arrangiamento fu un commerciante di origine boema, certo Langer. "A nostro avviso la grotta, per le sue precise caratteristiche, per la sua conformazione e soprattutto per la presenza di una sorgente interna, deve considerarsi un antico bagno di origine araba" così si esprimeva il Duca sulla grotta. Oggi il quartiere Brancaccio è molto cambiato rispetto alla borgata immersa nei giardini del XVIII sec. Tuttavia la sua storia, i suoi monumenti, testimoni di un passato illustre, fanno parte di quel bagaglio culturale di cui andare orgogliosi, per guardare al futuro .
( Dal sito: www.angelfire.com/journal/puglisi )
A Brancaccio: acqua e giostre, di fronte al Ponte dell’Ammiraglio.
RICORDI E RIFLESSIONI
Per raggiungere il Centro Padre Nostro in via Brancaccio n. 461, partendo dalla Fiera del Mediterraneo e passando dal lungo mare ogni pomeriggio mi perdevo : non azzeccavo mai la traversa giusta per imboccare via Brancaccio. Il primo giorno mi avevano accompagnato, non guidavo io e non stavo attento alle strade da prendere : ero tutto preso dall’osservare per la prima volta quella parte di Palermo che avevo sempre e solamente attraversato per uscire o entrare in città. Cercavo il bellissimo Ponte dell’Ammiraglio, da cui eravamo passati il primo pomeriggio, lunedì 18 aprile, ma non lo ritrovavo mai. Quattro pomeriggi, quattro strade diverse, chiedendo, tornando indietro e finalmente ritrovando la via e il passaggio a livello.
“ Unn’iisti ? APPalermo ! Unni vai oggi ? APPalermo !”
“ Poi arrivavano i “Palemmitani”…”
Anna, una delle partecipanti, figlia di una signora di Palermo e di un piccolo allevatore di Brancaccio, ricordava che “na vota” si diceva “ APPalermo” per indicare la distanza e la differenza fra Brancaccio “boiggata” o “paise” e la Città.
Negli ultimi anni invece
“ Unn’iisti ? U Centro ! “ Unni vai oggi ? U Centro ! “
La Città si è estesa, la Borgata con tante stalle e tanti giardini si è riempita di palazzi e piccole imprese, e non c’è più distacco se non quello fra Centro Città , Periferia e Quartieri Popolari. Oggi la Circoscrizione II che comprende Brancaccio e non solo, conta quasi 78.000 abitanti di cui oltre 9.000 anziani, quasi tutte donne, vedove e sole.
Era la prima volta che facevo professionalmente un lavoro “sociale” nella mia città, Palermo, nella quale non vivo più dal 1971, da trentaquattro anni, ma nella quale ritorno con grande piacere almeno due o tre volte l’anno per stare con mia madre, mio fratello, parenti e amici. A diciassette anni, nella primavera 1971, pochi mesi prima di partire per Venezia, durante il terzo liceo, al seguito di uno stranissimo professore d’Italiano nel Liceo Meli, avevo fatto un’esperienza di Doposcuola per bambini nel diroccato quartiere dell’Albergheria. Ma questa volta, nel 2005, che a pronunciarlo ogni volta mi sembra ancora strano, io Gianguido Palumbo, palermitano, cinquantenne, scrittore anomalo, professionista della Cooperazione Internazionale, con missioni di lavoro in Europa dell’Est, in Africa, in America Latina, nel mezzo di villaggi o città immerse in gravissimi problemi sociali ed economici con guerre fratricide alle spalle, questa volta la “missione” di lavoro l’avrei compiuta proprio nella mia terra di origine, in Sicilia, a Palermo, per giunta in uno dei Quartieri più “famosi”della città.
A Roma, poche settimane prima, avevo appena visto il film “Alla luce del Sole” sulla vita di Don Puglisi e sapere di dover sperimentare un Laboratorio di Scrittura con e per Anziani proprio lì mi emozionava, incuriosiva, inorgogliva, ma anche preoccupava. Chi sarebbero stati questi dieci Anziani ? Quali aspettative avrebbero avuto, quali storie, quali problemi, quali diffidenze, quali intenzioni ? In che clima avrei lavorato in quel luogo ? Otto e poi quindici e poi addirittura venticinque e poi di nuovo quindici e infine solo sei, non per insuccesso o rifiuto del Laboratorio ma solamente per una brutta coincidenza organizzativa interna al Centro ospitante, una gita.
Dalla diffidenza iniziale “Ma lei unn’è siciliano ! “
Alla benedizione finale “Che Dio benedica Lei, la sua Famiglia, quello che fa adesso e quello che farà ! ”.
Vite di anziani, di donne e qualche raro uomo, fra i sessanta e i novant’anni ( gli ultimi tre giorni è pure venuta una lucidissima, dolcissima, vecchina di novantaquattro anni, accompagnata, lasciata e ripresa devotamente e con grande affetto dalla figlia e dalla nipote ) : alcune con la Licenza Media appena conquistata ad ottantadue anni e tanto di diploma giustamente appeso orgogliosamente in cucina, altre invece molto attente e partecipi ma senza penne in mano, altre ancora così contente di potere raccontare per iscritto pezzi di vita da non badare giustamente alle H, agli accenti, ai punti e le virgole, pronte a leggere o far leggere quelle righe senza pudore, perché conquistate prima negli anni di una vita difficile ma a volte anche bella, e poi una seconda volta in altri anni di studio ritardato. Vite “normali”, di chi è sola, solo, con figli lontani o in altre case, con ore e ore da passare fra una spesa attenta ai prezzi nel mercato dell’angolo, una visita parenti, un rosario, una trasmissione televisiva e notti difficili da attraversare. Vite a Brancaccio come a …Palermo, come a Venezia o Genova o Trieste, in tutti i quartieri popolari d’Italia.
Ma … quanta assistenza medica a distanza, quanti Centri Anziani comunali, quanta riabilitazione, quante Università della Terza Età, quanti telefoni Amici, esistenti da anni a Roma, a Venezia, a Genova, a Trieste, in decine di città del Centro e del Nord Italia, ci sono oggi a Brancaccio, per far vivere un po’ meglio quelle 23 donne e 2 uomini anziani, e non solo loro, venuti al Laboratorio? Dei 9.000 anziani che vivono nella II Circoscrizione di Palermo, solo poche decine frequentano luoghi come il Centro Padre Nostro di Brancaccio. E senza quel Centro cosa farebbero e come vivrebbero quegli stessi 25 ? In Italia sono ormai più di 12 milioni le persone oltre i 65 anni di età. Circa due milioni non sono autosufficienti e molte famiglie da anni pagano assistenti personali, “Badanti”, spesso stranieri-immigrati, per mancanza di altre soluzioni: sono ormai più di mezzo milione ! Ma non tutti se lo possono permettere. A Roma nella Capitale, su 3 milioni di residenti 500 mila sono Anziani: ma il Comune già da molti anni ha fatto nascere decine di Centri in tutti i Quartieri, dove ci si incontra, si gioca a carte, a bocce, a dama, si balla, si fanno attività culturali, ginnastica. Tanti Centri Padre Nostro ma pubblici, gratuiti, finanziati dai cittadini stessi con le loro tasse. Oltre a molti servizi di assistenza sanitaria, psicologica e di aiuto alla vita quotidiana con centinaia di volontari coinvolti.
A Brancaccio, a Palermo, l’assassinio mafioso di un sacerdote che aveva cercato di migliorare la vita dei suoi compaesani, bambini, giovani e anziani soprattutto, ha provocato il rafforzamento del Centro da lui fatto nascere. Una risposta comune, di cittadini e amministratori locali, più estesa e duratura nel tempo dovrebbe provocare un impegno pubblico maggiore, investimenti in strutture e servizi per tutti quelli che ne hanno bisogno e diritto : Asili Nido, Scuole Materne, Centri per i Giovani, Centri per Anziani, Spazi misti per tutte le età, in cui crescere e vivere dignitosamente. E allora forse ci sarebbe meno bisogno di eroi, di santi, di volontari, di poliziotti, di carceri, perché i bambini potrebbero studiare di più e meglio e scoprire doveri e diritti, gli adulti, loro padri e madri e zie e zii, sarebbero educati dai loro stessi figli, nonni e nonne potrebbero raccontare più storie e sognare più sogni nelle notti senza incubi.
Gianguido Palumbo
A Brancaccio: il Ponte dell’Ammiraglio.
VITE PARALLELE
Vita d’ogni giorno
Sogni e desideri
Ricordi
Identità siciliana
Trascrivere è sempre un atto di “tradimento”: avrei potuto riportare con assoluta fedeltà le pagine scritte a mano, con tutte le assenze di punteggiatura e gli errori di grammatica o scrittura. Ho scelto la via della trascrizione fedele ma alterata dall’introduzione di punteggiatura e la correzione di errori basilari. Ho comunque rispettato l’uso dei tempi e la struttura.
Isidoro ( 76 anni )
L’inizio della giornata non ha orario: a volte alle sei, a volte alle sette oppure alle cinque. La mia vita notturna è un vero disastro e se riesco ad accumulare quattro ore di sonno è già una meta molto buona. So solo una cosa: il primo pensiero è quello di fare il caffé e qui devo dire che adopero la migliore miscela che esiste. Mi sono scordato di dire che io vivo solo essendo vedovo e quindi faccio tutto da me e devo dire che non ho problemi di nessun genere: faccio la spesa, cucino, accudisco alla casa e anche a qualche pianta che ho nel davanzale delle finestra. Il mio tempo libero lo passo leggendo riviste, giornali e vedendo la tv, preferendo documentari, partite di calcio o telegiornali. A volte nel periodo estivo vado a pesca dove, a volte, capita qualche bottino ottimo per qualità. A sera poi mi ritiro preparando una cena leggera, digeribile, da consumare verso le sette e mezza. Guardo la tv e poi verso le dieci e mezza vado a dormire. Dipende da quello che trovo: se è una partita di calcio non me la lascio scappare, lo stesso vale per un documentario, un film comico; i telegiornali li vedo tutti, malgrado parlano quasi delle stesse cose: ciò per tenermi aggiornato di quello che succede nel mondo. Devo dire però che se non c’è nessuno di questi programmi, non faccio passare tanto tempo e subito o quasi vado a nanna.
Qui comincia l’avventura di una notte spezzettata, lunga che non finisce mai, costellata da sogni tutti per fortuna dedicati ai treni, locomotive, segnali, viaggiatori, carri bestiame, incidenti, avarie alle locomotive, ecc….. A volte mi sveglio spaventato, allarmato per essere stato protagonista di uno scontro fra due treni. La verità è che non bastano alcuni espedienti per evitare questi sogni terribili e dormire. In questo, quando si arriva al dopo pranzo, il crollo è totale, non se ne può fare a meno è forse l’unico periodo che una persona dorme tranquillo e beato. Durante il sonno i sogni non mancano: continuo a fare ancora il Ferroviere ogni notte quasi tutti i giorni. Questo mestiere è stato per me il bello del mondo.
*** ( Fino al 1980 eravamo una bella famiglia, io, macchinista ferroviere, Sara mia moglie e i nostri figli ….. ……………….. Qualche anno più tardi…)
Periodicamente a Sara gli venivano malesseri che, visitata dal medico di famiglia, mi veniva detto che non era nulla: una semplice influenza e nulla più ! La cosa andò avanti per tanti anni finché un giorno spuntò un filo di febbre ogni pomeriggio e la degenza si allungò. Un medico diverso da quello di famiglia gli fece fare in più l’ecografia e la tac da cui risultò una di quelle brutte malattie che fanno crollare il mondo. Visse ancora qualche mese ma la malattia la portò via, ridotta in un ammasso di ossa. Mi lasciò solo con tre ragazzi, due femmine e un maschio, adulti, tutti fidanzati e tutti da sposare e tutti che lavoravano. Io feci da mamma, da papà: facevo la spesa, cucinavo, pulivo la casa, stiravo, lavavo, insomma tutto ciò che ha bisogno una famiglia. Con grande difficoltà riuscì a tutto: li sposai dando a loro quello che è giusto dare, compreso il maschio. Ora la bufera è passata, siamo tutti tranquilli e contenti, con una lieve malinconia pensando a Sara, quella dolce donna a cui tutti volevamo un mondo di bene.
***
Io sono nato in Sicilia, una delle più belle isole del Mediterraneo, dove praticamente il clima esistente è uno dei più dolci e belli che esistono. Con questo clima si coltiva l’ulivo, i fichi d’india, gli ortaggi, tutto l’anno, e con l’aiuto delle serre abbiamo una quantità enorme di primizie che vanno in tutti i paesi d’Europa e del Mondo. Devo subito dire che i Siciliani sono gente che amano il lavoro, la famiglia, la propria casa. Il Siciliano è molto attaccato alla sua famiglia ed è una persona molto ospitale nei confronti delle altre persone. Certo, nella quantità esistono quelli fuori dalla norma e devo dire che ora vivono una vita molto difficile. Le forze dell’ordine, ben addestrate, braccano questa gente che vivono una vita difficile o impossibile.
Ora, per finire, devo dire che io amo la Sicilia ma anche l’Italia tutta a cui sono molto legato: amo Milano, Torino, Venezia e soprattutto Palermo, capitale di questa bella isola, ricca di storia e di tanti monumenti, uno più belli dell’altro.
Giovanna ( 78 anni )
Appena svegliata mi faccio un po’ di ginnastica alle gambe e alle braccia. Poi mi alzo, mi pulisco appena il viso, aggiusto i capelli e preparo la prima colazione. Faccio colazione con un po’ di latte e fette biscottate integrali. Poi inizio con le faccende di casa: rassetto qualche cosa fuori posto, spolvero e se è il caso pulisco i pavimenti e qualche altra cosa come stirare e rammendare. Ma poi viene il momento di una doccia e di andare a fare delle piccole spese di giornata. Un giorno mentre ero fuori casa mi sono ricordata che è ritornato il mio nipotino dalla Francia con la compagnia dei professori e alcuni compagni di scuola, anche loro bravi, visitando, mi diceva, tante belle cose. Anche si è ricordato di me portandomi un bel fular ! Ma poi, ritornando a casa, si inizia per il pranzo: una piccola porzione di pasta, in qualsiasi modo sia fatta, un secondo qualunque, non ha mai importato, e un po’ di frutta. Un po’di riposo, vedendo qualche programma alla televisione. Guardando l’orologio ci si accorge che è l’ora di andare al Centro Padre Nostro per un po’ di svago: si ascolta, si scrive, oppure si fa qualcosa. Ma una volta ritornata a casa si prepara per la cena e si fa la cena. Vedo qualcosa alla televisione e si ritorna a letto verso le ore 22, come prima oppure dopo, dipende dallo stato di noia.
Una volta addormentata si fa qualche sogno un po’ noioso che vorrei che presto finisse. Per esempio. Quando mi sono sposata ho avuto per la prima volta due gemelli, un maschietto e una femminuccia. Dopo trentanove anni si ripete la stessa cosa con mia figlia. Ho fatto un sogno sette anni fa: mi ho sognato mio marito che mi diceva che mia figlia mi doveva dire qualche cosa di importante. Mi ha telefonato dicendomi che si è sognato suo padre che ci diceva di prendere due coniglietti molto piccoli che si trovavano dentro una cesta e che erano uno bianco e uno nero. Mia figlia voleva sapere che significava tutto ciò ma la mia risposta è stata di non sapere o di aspettiamo. Dopo un po’ di mesi di nuovo la telefonata di mia figlia dicendomi di sedermi perchè aspettava un figlio, ma dopo è venuto il momento di andare dal dottore. Mia figlia aveva già un ragazzo da quasi 11 anni, il dottore gli diceva di due figli ma mia figlia credendo due con quello che aveva, invece ne aspettava due. Poi, molto spaventata, mi ha telefonato perché erano due bambini e non sapeva come fare perché il primo lo avevo cresciuto io. La mia risposta è stata questa: quanti siamo Dio ci aiuterà ! Ma non soddisfatta dalla riposta è rimasta male ma coraggiosamente perché sono nati in pochi mesi e io aiutavo ai suoi. Ma il sogno di suo padre le aveva fatto capire che erano i suoi che ci teneva tanto ai bambini. Sono nati prematuri, che la femmina era sofferente: erano molto piccoli e anche i medici pensavano che non vivessero molto ma con volere di Dio e la nostra fiducia in Lui sono cresciuti e adesso vanno a scuola con buonissimi voti. Io sono contenta credendo di avere speso bene i miei anni: come vorrei continuare scrivere……
Ma il mio vero sogno fosse quello di andare a visitare Gerusalemme, dove è nato Gesù o in qualche posto pure bello. Ma spesso il sogno svanisce piano piano: se ne vola via come una nuvola. Non si sa mai se qualche giorno può ritornare: ne sarei molto contenta. ***
Io ero una casalinga ma allo stesso tempo facevo la contadina. Sposata con tre figli, due maschi e una femminuccia: andavano a scuola , molto bravi. Avevamo un pezzetto di terra insieme alla casa dove si abitava: la coltivamo un po’ tutta a fagiolini, pomodori e anche a verdure. Ma un giorno mio marito, lavorando anche fuori in altri posti, si è ammalato di medicina chimica e io ho dovuto affrontare tutto con coraggio. Il lavoro era anche da casalinga perché non potevamo permetterci una persona da pagare. Ma appena è arrivata la guarigione di mio marito, tutto è tornato alla normalità. La domenica, dopo il lavoro, si preparava da mangiare la pasta, il secondo, le cipolle arrostite, i fagiolini, le lumache che tanto piacevano, l’insalata, e così ognuno portava il suo fagottino e si incamminava verso il mare. Una volta arrivati padre e figli si facevano il bagno, io no perché avevo paura del mare e pensavo a preparare per il pranzo: stendevo una tovaglia a terra per bene, mettevo sopra la tovaglia piatti bicchieri e posate. Una volta finito il bagno si iniziava a mangiare. Dopo, tutti soddisfatti, ci si riposava un po’. Poi verso sera ci mettevamo in viaggio verso casa: per la strada ci compravamo un bel gelato che quasi ci durava fino a casa. Eravamo così contenti che non ci sentivamo stanchi per niente: eravamo così uniti, felici e forti.
***
Io sono nata e cresciuta tutta la mia vita a Brancaccio, sono siciliana e sono orgogliosa. Anche se poche cose conosco della mia città di Palermo, mi sono sposata Palermo, ho avuto dei figli. Anche i miei figli si sono sposati e ora sono contenta perché a Palermo ci sono tanti monumenti, tanti teatri, siamo anche circondati dal mare che è una meraviglia, anche montagne, il Palazzo Reale, la Cattedrale che ricorda la Chiesa di Monreale: sono due chiese che ricordano i due fratelli Romolo e Remo. Ci sono tante storie, ci sono tante bellissime cose, anche Gibilrossa, la storia di Garibaldi, Corso Vittorio Emmanuele, la storia del Gattopardo.
Ma per concludere io ne sono orgogliosa di essere a Brancaccio, Palermo, anche la Chiesa di Brancaccio, la sua storia dei fratelli Brancio. Anche se hanno assassinato il Padre Puglisi, e ne sono tanto dispiaciuta ancora oggi perché era un prete molto bravo, ma sono cose che accadono in tutti i posti.
Anna ( 68 anni )
Stamattina quando mi sono svegliata alle sette ho sentito suonare le campane della chiesa di SantAgata e ho pregato come faccio tutte le mattine dicendo ”Gesù metto questo giorno nelle tue mani, lo sai che sono sola, proteggimi tu” e prego anche per gli altri. Poi vado in cucina, mi faccio il caffè, preparo qualcosa da scongelare per il pranzo però avendo il pensiero di andare all’ospedale oppure a venire qua al Centro Padre Nostro. Quando ritorno a casa e sto da sola mangio qualche cosa, preparo il letto e poi un po’ di televisione, apro il balcone, mi alzo gli occhi al cielo e ringrazio il Signore che dia Pace a tutto il Mondo. Rientro e mi metto al letto, bacio la foto di mio marito e stento di addormentarmi perché mi metto a pensare tante cose.
Talvolta sogno, però quello che sogno talvolta si avvera perché io racconto tutto ai miei figli e quando poi si rivela quelle cose che io ho detto prima e mi dicono “ Ma che dice Mamma ! “ e poi ho ragione e rispondo che Gesù mi avvisa nel sogno.
Adesso vi racconto un sogno speciale.
Era il mese di agosto del 2003, di mercoledì. Avevamo un po’ di terreno per fare giocare le mie nipotine. Quelli che se andavano dai villini lasciavano i cani e li abbandonavano. Mio marito prima di morire aveva fatto di proposito un recinto adatto per questi animali che abbandonavano. Quando c’erano le mie nipotine li metteva nel recinto, quando non c’erano li lasciava liberi nel piazzale. Lui stesso li vaccinava. Poi mio marito è morto, mio figlio e mio genero hanno continuato a portare il mangiare perché non li volevano abbandonare. Però, un giorno salendo ne trovarono uno o due morti perché li davano da mangiare le polpette avvelenate. Non sapevano chi erano queste persone ma il veterinario diceva che morivano avvelenati. Allora, tornando a quel mercoledì 2003, quella sera, pensando che il sabato dovevano ritornare a farci il mangiare che da venticinque cani ne sono rimasti due, questi due erano i primi nostri più affezionati. Invece di trovarne, manco uno era nel piazzale: il terreno bruciato, chi è stato non lo sappiamo. Andiamo al sogno: il mercoledì ho sognato mio marito che mi diceva basta, con le mani che strofinava, non piangere è finito tutto non c‘è più niente. Facendo questo sogno stiedi male fino che arrivò il sabato e mio figlio andò in campagna e trovò il cane: non c’era però tutta la campagna, tutti gli alberi bruciati ! Però il cane era vivo. Appena ho saputo questa notizia ho ringraziato e ho detto “Gloria a Dio!” Lo avevo sognato. “E’finito tutto perché ho sognato vostro padre mercoledì” pregando a Gesù di non farci succedere qualche cosa ai miei figli o a mio genero. Mi sono rivolta pure a mio marito e ho detto queste parole “ Gesù, Gabriele prega a Gesù tu prima che succede qualche cosa ai nostri figli”. Dicendo queste parole mi sono addormentata e ho sognato tutto quello che il sabato si è verificato. Io sogno, sempre ringraziando Gesù, dicendo: sono contenta che non è successo niente ai miei cari, però che ancora il cane è vivo e ancora ringrazio Dio ora e sempre.
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Nell’anno settantuno eravamo una famiglia da sette persone, cioè io, mio marito, la mia mamma, i fratelli e la sorella. Un anno era nato mio figlio Toni. Eravamo contenti che è nato dopo undici anni di matrimonio, nato prematuro è stato mesi in incubatrice ma Gesù è stato così buono che lo pregavamo per guarirlo e presto portarcelo a casa. Così dopo due mesi Gesù ascoltò i mei e di tutti i miei le nostre preghiere e ce lo siamo portato a casa. Ora ha trentacinque anni, sposato, ci ha cinque figli e fino a oggi ringraziamo Gesù, che era morto dicevano, ma chi ha fede a Dio le cose non sono impossibili.
Chiudo questi due righi ringraziando sempre a Gesù.
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Io ho girato tanti posti perché mio marito era autotrenista della Blotti di Milano. Quaranta anni che girava da per tutto sempre con il camion. Però girando con lui io avevo un foglio rosa il quale spiegava che io ero come un aiutante al guidatore, cioè potevo aiutare a mio marito in caso di bisogno. Però guidavo qualche volta e grazie a Dio, le poche volte che guidavo io mio marito non si sentiva male. Cosa voglio dire con questo ? Che io non mi sono trovata mai. Dove arrivavamo, caricavamo la merce o scaricavamo e scendevamo anche di notte per tornare a Brancaccio a casa mia. Non volevo mai rimanere: facevamo andata e ritorno, ci barcavamo nella nave, ricordo nella Tirrenia, la nave si chiamava così. La Blotti ci voleva fare trasferire ma non volevamo lasciare Palermo specialmente la mia borgata cioè Brancaccio perché da bambina, quando mio papà era militare nella guerra io avevo sei o sette anni ero l’unica figlia, mia mamma non era della borgata era dal Centro di Palermo ed era un po’ smarrita nella borgata però qua c’era tutta la famiglia di mio padre, tutti i nonni e i cugini, però tutta la borgata di Brancaccio l’hanno accolta bene specialmente quando papà mancò. La chiesa della borgata, parlo di quando io ero piccola, in un magazzino dove c‘è ora il Municipio, c’erano tante che si interessavano a cucinare e dalle dodici andavamo a prenderci la pasta, il secondo, chi aveva di più bisogno. Noi i primi davamo le scarpe, i vestiti di noi bambini e questo anche il Parroco che poi morì, ma le cose sono rimaste e dopo il Parroco ce ne furono altri. Poi hanno messo Padre Puglisi: voleva fare le cose giuste, però non fu così. E’ rimasto il Centro Padre Nostro con un altro sacerdote e tutti questi del Centro si stanno interessando a portare aiuto a quelli che sono senza lavoro: li fanno lavorare; quelli che non hanno a nessuno li danno da mangiare; a noi anziani, come lei sta costatando, quello che ha visto in questi giorni. Fanno ancora di più : la scuola a bambini che le mamme lavorano o i grandi che non andavano a scuola da piccoli e chi non ha la licenza media pure a grandi di età avanzata.
Che Dio benedice lei, la sua famiglia, quello che fa e quello che deve ancora fare. Invoco sempre Gesù !
Teresa ( 82 anni )
Io di solito la mattina mi alzo alle otto. Appena alzata apro la serranda del salone, faccio entrare la luce del giorno nella mia stanzetta, che da quando è morto mio marito non mi sono sentita di abitare sola nella mia casa grande e anche per la salute, non mi permette di stare sola. Io, appena alzata, vado in cucina a prendere una bottiglia di acqua e a digiuno ne bevo due bicchieri e durante la giornate arrivo a due litri. Poi mi riscaldo un bicchiere di latte, aggiungo un po’di caffè e lo prendo con otto fette biscottate. Dopo vado nel mio bagno, che uno è tutto per me, mi faccio la pulizia personale, poi mi siedo a dire le preghiere mattutine con la Radio Maria. Dopo faccio la mia ginnastica che di solito faccio tutte le mattine. Quando ho finito, se il tempo lo permette, verso le dieci, scendo e mi faccio lunghe passeggiate. Alle ore dodici torno a casa. Se poi ho da andare dalla mia dottoressa o sbrigare qualcosa mia, me la sbrigo. Io cammino quasi sempre sola, se poi dovrei andare lontano mi accompagnano o mio figlio prima di andare in ufficio o necessariamente mi accompagna mia nuora ma lei ha tutte le responsabilità della famiglia. Siamo in casa cinque persone: marito, moglie e due figli maschi e io da sola nonna; i ragazzi vanno a scuola; il grande ha 18 anni a va a scuola vicino a noi, ultimo anno di liceo scientifico; il piccolo, 13 anni, è in terza media e viene accompagnato la mattina da suo padre e al ritorno se esce più presto va la mamma con la sua macchina. Tre giorni la settimana lo porta in piscina e il grande fa palestra. Io sogno che vanno avanti sempre. Li ho visti crescere: sono bravi ragazzi ed educati bene. Io ho un altro figlio maschio ma non hanno figli. La moglie insegna a scuola e lui ha una rappresentanza e si trova quasi sempre fuori. Io con questo mio figlio mi trovo bene e mi sento di non cambiare. E poi dico questo: questi due nipoti mi danno la speranza di vivere, mi danno tanta gioia, molto educati e bravi con me e con tutti.
Mentre sto scrivendo questo foglio mi sto fermando un po’ per andare a pranzare che ho già il piatto a tavola.
Io mangio presto e da sola. Dopo, mia nuora comincia preparare per loro che tornano dalla scuola: il piccolo lo prende suo padre al ritorno, se poi rimane in ufficio telefona e va sua mamma. Io non mi volto per niente: ne spesa, ne altro; mi dedico alle preghiere, leggo, scrivo o disegno e anche faccio le parole incrociate. La mia vista è un po’ andata e non mi posso impegnare. Spesso mi sento le notizie e mi vedo qualche trasmissione che nella mia stanza ho la televisione. Ognuno nella stanza abbiamo la nostra. La mia stanzetta è tutta arredata di tutto e fuori della mia stanza non lascio niente in giro. Vivo bene e lascio a tutti tranquilli specialmente quando i miei nipoti studiano o scrivono al computer. Il sabato, che mio figlio non va in ufficio e nemmeno la domenica, parte col più piccolo per le gare ci Gokart e vanno dove si svolgono. Da cinque anni è che corre, è pilota regionale e fa quasi sempre o primo o secondo o terzo posto; ha preso più di sessanta coppe e spesso viene messo nel Giornale di Sicilia. Le professoresse lo sanno che lui pratica questo sport e hanno appeso nella sua aula la sua foto mentre corre. Siamo tutti orgogliosi di lui e io le auguro che un giorno continua come è stato l’altro suo figlio e anche il desiderio di suo papà e anche il mio sogno. Mi sembra difficile che io ci sarò ma questo è il mio desiderio e lo auguro. Per ora, tra poco, ci godiamo l’estate: io ho tanti amici e quando ci incontriamo ci scambiamo qualche parola e a casa mi ritiro più contenta. Le mie sorelle abitano lontano: una in Florida, una a Sciacca, una Partitico e una a Palermo, ma abitiamo un po’ distante e lei è quasi sempre impegnata col suo lavoro. Ogni tanto mio figlio mi ci accompagna che abita vicino all’ufficio dove fa servizio. Mi sono morti tre fratelli e siamo rimaste in cinque: ognuno ha la sua famiglia. Io questa sera, appena mi sono ritirata ho trovato la cena pronta. Di solito cenavo alle ore 18 ma da quando frequento il Centro ceno mezz’ora dopo. Nell’inverno che alle 18 era già buio non andavo nemmeno in Chiesa, solo la domenica mattina oppure se c’era qualche messa di mattina. Questa sera ho ascoltato nella televisione la notizia del nuovo Papa. Questa notizia è stata presa con piacere da tutto il mondo : speriamo che sarà un Papa buono come Papa Giovanni che il Signore ha voluto in cielo.
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Più di trenta anni invece fa abitavo nel Corso Vittorio Emanuele, accanto all’Hotel Centrale. Anni prima avevo avuto la perdita della mia bambina nata dopo quattro anni del mio primo figlio. Dopo un po’ di anni abbiamo deciso, io e mio marito, di completare la famiglia e così è arrivato un altro bambino. A quel tempo lo mandavo a scuola regolarmente e anche il grande. Allora ricordo che mio marito trascorreva la vita fuori, faceva il commerciante assieme a due fratelli e partiva sempre con i camion. Nel 1971 abbiamo deciso e ha voluto ritirarsi dal commercio e facevamo una vita tranquilla e piena di svaghi: facevamo lunghe passeggiate in via Ruggero Settimo, in Via Libertà, spesso andavamo a Teatro, al Politeama, e anche a vedere bei film. In quella casa molto grande avevamo una grande terrazza, piena di aiuole. I miei figli si divertivano a girare in bicicletta. Spesso venivano a trovarci i miei zii e i suoi figli ragazzi e passavamo delle belle serate con cene. Abitavamo al terzo piano e c’era un pergola bella, di uva grossa, che il tronco saliva dal piano terreno. Al primo piano abitava un colonnello della caserma di Porta Nuova. Eravamo molto amici e spesso salivano da noi a farci visita. Si chiamava Buongiorno. Questo palazzo era nel centro storico. Siamo stati un po’di anni e dopo abbiamo deciso di comprare un appartamento che costruivano vicino al Palazzo di Giustizia e ci siamo trasferiti là. E’ ancora là la mia casa, tutta arredata con cinque stanze.
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Io però sono nata a Villabate e anche i miei genitori. Quando io ero bambina mi sono trasferita a Misilmeri assieme ai miei e un’altra mia sorella due anni più grande di me. A quei tempi, ottanta anni fa, mio padre era impiegato alla Società Elettrica e spesso veniva trasferito. A Misilmeri sono nate altre tre sorelle, una morì piccola e io andavo a scuola dalle suore prima quattro anni all’asilo e a cinque anni mi sono fatta la prima comunione. Dalle suore ho fatto fino alla terza elementare. Dopo mio papà fu trasferito a Ribera provincia di Agrigento e là è nata un’altra mia sorella. A Ribera ho fatto altri due anni di elementari. All’ultimo trasferimento a Sciacca ci siamo fermati e sono nate altre due sorelle. Mi padre si era sposato a diciannove anni e io a dieci anni ero già a Sciacca e cresciuta, mio papà passò in ufficio: io sono cresciuta e sposata là. I miei genitori mi lasciarono nel 1975 a poca distanza, uno dopo l’altro, questa è la vita. Mio marito, dopo molte sofferenze è morto dodici anni fa: ero felice e mi bastava averlo accanto anche con le sue sofferenze. Discutevamo del tutto ora mi conforto da sola. E io con i miei disturbi da quando è morto mio marito abito con mio figlio. Nella mia casa ci vado spesso ma preferisco abitare con mio figlio. Per i miei malesseri faccio una vita tranquilla con qualche disturbo ma facciamo la volontà di Dio con la speranza che ci aiuta.
Mi sento orgogliosa di essere siciliana.
Concetta ( 60 anni )
Le mie giornate si svolgono quasi sempre uguali: mi alzo tutte le mattine alle sette. Mi lavo mi vesto e attendo mia nipote che ogni mattina mi viene a trovare. Lei va nella scuola vicino casa mia. Facciamo colazione insieme. Appena lei scende per recarsi a scuola io scendo per fare le mie cose: la spesa, andare dal medico, alla posta, cosa che ogni casalinga fa tutte le mattine. Ritorno a casa e preparo il pranzo. Nel frattempo guardo la televisione: seguo i programmi che preferisco poi verso le sedici scendo giù al Centro. Poi mi ritiro, preparo la cena, mangio, riguardo la televisione e dopo un certo orario vado a letto nella speranza di riuscire a dormire. Dico riuscire perché non sempre ce la faccio. Mi alzo, gironzolo per casa, immagino di avere con me mio marito che prepariamo la colazione insieme. Vorrei ogni mattina, quando mi alzo, avere con me sempre le persone che amo.
Ricordo bene la nascita del mio bambino e l’immensa gioia che ho provato insieme a mio marito. La nascita di mio figlio è qualcosa di meraviglioso. Ti cambia la vita in meglio. Scopri nuovi lati del tuo carattere e dai tutto il tuo amore ad una piccola creatura che ti guarda con occhi dolci che vuole in cambio da te soltanto amore e protezione. Oggi quel piccolo bambino è cresciuto ed è diventato un uomo anche se per me nel mio cuore resterà sempre una piccola creatura da amare e difendere. La nostra vita è stata caratterizzata per sempre da cambiamenti. Io in quell’anno abitavo in via Carmelo Onorato, zona Corso Calatafimi, vicino l’Istituto Palagonia, detto Boccone dei Poveri, una costruzione antica. Nel 1982 ci siamo trasferiti in Corso Calatafimi alto, detto Mezzo Monreale. Mi ricordo che andavo spesso in questo paesino, ricco di storie e di monumenti e andavo a vedere anche il Duomo famoso in tutto il mondo e la Villa Comunale con il suo belvedere. Pina ( 82 anni )
Io, nonostante l’età, con la grazia di Dio, posso fare di tutto per me. Ancora il cervello mi regge quindi posso stare da sola a casa mia e non dare disturbo ai miei figli. La mattina mi alzo verso le sette meno un quarto, vado in cucina a farmi il caffé e me lo prendo. Vado in bagno a lavarmi. Alle sette e un quarto accendo la radio sintonizzata su “Radio Maria” e recito il Santo Rosario assieme a loro. Terminato il rosario recito altre mie preghiere. Poi mi riscaldo il latte per fare la prima colazione, facendomi la prima insulina. Mi sistemo il letto e pian piano le altre faccende di casa. Poi se mi manca qual cosa per il pranzo, esco, vado in piazza a comprare quello che mi serve. Ritorno e comincio a preparare il pranzo, primo piatto e secondo piatto. Alle ore tredici meno dieci accendo la televisione per ascoltare il telegiornale. Alle ore tredici e trenta inizio il pranzo. Dopo comincio a vedere in televisione un romanzo intitolato “Cento Vetrine”. Terminata la puntata spengo il televisore e inizio a lavorare con la lana all’uncinetto. Quando non piove alle ore sedici vado al Centro Nostro per passare un paio d’ore insieme ai miei amici anziani. Alle sette ritorno a casa, ceno e poi guardo il telegiornale. Dopo cerco in televisione quello che più mi piace: io amo i varietà musicali e gli spettacoli. Intorno alle undici spengo la televisione e vado a dormire. Io raramente mi ricordo dei miei sogni. Se dovessi avere un desiderio, vorrei tanto che un giorno, dopo che io sono passata a vita eterna, la mia famiglia continui ad essere per sempre come adesso, ovvero una famiglia unita e felice che si rispetti e che aiuti nel momento del bisogno. Questo è il mio più grande sogno e spero che Dio ascolti le mie preghiere e mi aiuti a coronare il mio desiderio.
Giuseppina ( 72 anni )
Permettetemi di presentarmi: mi chiamo Giusy, ho settantadue anni e grazie a Dio, con tutti gli acciacchi, sono in grado di cavarmela ancora bene fino ad oggi ? Che dire: dopo quaranta anni di lavoro e sacrifici finalmente mi godo la mia spero meritata pensione. Senza premura di alzarmi la mattina alle sei sempre con il cuore in gola perché si faceva tardi. Alle sette tutto il Personale dovevamo andare in chiesa per partecipare alla S.Messa. Anche perché era un Istituto dei P. Gesuiti e dovevamo essere tutti presenti e ognuno di noi non potevamo mancare. E dopo di che cominciava la nostra giornata di lavoro anche faticosa. Io facevo la cuoca assieme a mio marito: eravamo trattati bene, anzi benissimo, ma era sempre un lavoro e gli orari dovevano essere rispettati.
Adesso mi sento più tranquilla e serena: la mattina mi alzo alle sette e il mio primo pensiero è rivolto al Signore, con le mie preghiere mattutine e chiedo al Signore di benedirmi questo giorno e di potere essere utile anche agli altri, nei miei limiti, anche con un sorriso perché non costa nulla ma fai felice a chi lo riceve. Alle otto faccio la mia prima colazione comodamente. Alle otto e trenta cominciano le telefonate dei miei figli che sono la luce dei miei occhi e dico grazie di esistere: mi danno tanto amore e gioia e ringrazio il Buon Dio di avermi fatto questo grande dono perché con i tempi in cui viviamo è difficile avere questi rapporti e dialoghi con figli, generi e nipoti. E per me questi sono i veri valori della vita e dico sempre grazie Signore di tutto quello che mi dai nel bene e nel male perché la vita non è sempre rose e fiori.
Io non sogno spesso ma il sogno che mi colpì è stato sognando la Mamma qualche anno fa che mi lasciò un segno indelebile. La Mamma ci lasciò 37 anni fa e pregavo sempre poi la sua anima. La sognai ai piedi della Madonna che scendeva verso già quasi a toccare la terra e io a gridare. Gridavo “Mamma non scendere, non scendere !” perché mi spaventavo che toccando la terra lasciava il Paradiso. Mi svegliai con il cuore in gola ma ho capito che la Madonna mi ha fatto capire che se la portava in cielo. Questo sogno non lo potrò mai dimenticare. Per i sogni terreni non chiedo di più di quanto il Signore mi ha dato; tutto ciò che ho chiesto nei limiti mi è stato concesso. Chiedo la salute e la pace dei miei figli e nipoti e la Sua S. Benedizione. Grazie Signore.
Giusy ( 73 anni )
A dire il vero la mia nazionalità non l’ho scelta io: sono siciliana e sono ultra felice di esserlo. Sono nata nel 1932 a Ventimiglia di Sicilia. La Mamma aveva un Albergo e Ristorante e venivano per vari motivi persone di tante città a cominciare da Milano a scendere fino a Ventimiglia. Ho vissuto un’infanzia modesta e quando mi parlavano che era peccato vivere una ragazza in questo Paese mi sentivo risentita. A sedici anni mi sono sposata e sono venuta a vivere a Palermo per vari motivi. In una città mi confronto con tanti tipi di persone. Premetto che non sono razzista ma quando mi toccano la mia bella Sicilia mi so difendere abbastanza bene. A solo pensare le nostre arance, limoni, olio, i nostri monumenti, l’aria che respiriamo. Anche se sono stata in varie regioni e città d’Italia, la mia Sicilia non la cambierei per nulla al mondo e lo dico sinceramente. Quello che lascia a desiderare un po’ è l’ambiente: quindi siamo noi a gestire la vita ovunque noi andiamo. Amo profondamente la mia Bella Sicilia, le sue culture e tutto quello che la circonda.
A Brancaccio: uno spazio verde attrezzato in fase di realizzazione.
FinalE gastronomico
Una ricetta tradizionale scritta assieme ( 6 donne 1 uomo )
Le Melanzane “ammuttunate” a Brancaccio.
Anna Per fare questa ricetta si usano le melanzane piccole, non quelle tunisine, ma quelle nostrane. Isidoro Quelle piccole sono la seconda fioritura della pianta non portata a termine, cioè a maturazione, in particolare nel mese di luglio. Giovanna No: si usano queste piccole perché le prime si raccolgono grandi dato che il prezzo del mercato è ancora quello giusto. Le seconde si raccolgono piccole perché non avrebbero più un buon mercato. Anna Si prendono le melanzane, si lavano, si taglia…. Giovanna “ U piricuddo ! ” Maria Si intaccano con un coltello per lungo in tre o quattro punti a seconda della grossezza della melanzana, per circa due o tre centimetri di lunghezza, profondi… Isidoro “Giusti“. Anna Si riempiono i tagli con: --sale e pepe, --pezzettini di formaggio a piacere, caciocavallo, parmigiano o grana, io ci metto il parmigiano che il caciocavallo non mi piace. --un poco di aglio, --qualche foglia di mentuccia.
Enza Si prende una padella con l’olio e si fanno friggere leggermente le melanzane “cunzate”: proprio “na granciatiedda“ tanto quanto basta per farle ammosciare. Pina Le melanzane cucinate si mettono in un tegame a parte. In un altro tegame si prepara la salsa di pomodoro, con aglio e basilico. Anna Io la cipolla non ce la metto nella salsa ! Giovanna A questo punto arriva “‘u megghiu”: si mettono le melanzane cotte nella salsa e si completa la cottura per circa 15 o 20 minuti fino a quando con una forchetta “azziccata” in una melanzana si sente “s’i ccuotta”. Anna Si possono mangiare o da sole, come secondo o come contorno, oppure per condire la pasta, che si consiglia essere o Bucatini o Maccheroncini, che però è sempre più difficile trovare . Isidoro Spaghetti, i Palermitani non ne usano in questo caso.
Isidoro, Teresa, Anna, Giovanna, Pina, Enza, Maria.
A Brancaccio: la bellezza della natura e dell’arte.
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Foto e testi di Gianguido PAGI
Palumbo
last update:
23/05/2011 11.07.13