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In libreria dal 18 novembre 2008

In occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne 25 novembre 2008

 

TERESINA

una storia vera

Prologo di Gualtiero Bertelli

EDIESSE ed. www.ediesseonline.it
Collana Storia e Memoria
Formato 14x21
Pagine 160
Prezzo € 10,00
novembre 2008

Teresina è un libro dedicato alla Violenza sulle Donne ed alla ricerca di nuove Identità Maschili.

Teresina racconta la vita di una donna veneziana molto particolare per la sua carica vitale di  ironia, intelligenza, passione e voglia di vivere. Nata povera nel 1923 è morta altrettanto povera nel 1980 a soli cinquantasette anni: orfana, prostituta, alcolista, «artista» come spesso amava definirsi, madre di un solo figlio maschio, moglie un po’ per convenienza un po’ per affetto di un ex pugile in libertà vigilata, cattolica a suo modo e comunista a suo modo.

Teresina è la storia di una donna, ripetutamente picchiata dal marito e dal figlio, fino alla morte dovuta ad una combinazione fatale della cirrosi epatica con le percosse dei familiari su un corpo ormai incapace di guarire dagli ematomi e dalle ferite. La sua vita disperata e la sua vitalità irriducibile nella Venezia del dopoguerra fino agli inizi degli anni ’80 sono un simbolo forte, purtroppo ancora attuale, di tante grandi contraddizioni di pochi decenni addietro e dell’Italia contemporanea.

Il narratore, testimone della storia di Teresina, scrive nella doppia veste di ex vicino di casa negli ultimi cinque anni di vita della protagonista, e di co-fondatore dell’associazione italiana MaschilePlurale.

Il libro, nato in collaborazione con l’associazione rEsistenze per la memoria e la storia delle donne in Veneto, è dedicato alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne del 25 novembre 2008.

 

Il Cantautore veneziano Gualtiero Bertelli ( www.gualtierobertelli.it ) oltre a scrivere il prologo del libro, su richiesta dell'autore, ha composto una canzone in veneziano dedicata a TERESINA che è entrata nel suo repertorio.

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Il 6 gennaio 2009 RAI 3 per la trasmissione Radio Farhenheit ha intervistato Gianguido Palumbo per il Libro Teresina ed è possibile riascoltare la trasmissione a questo indirizzo:

http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_evento.cfm?Q_EV_ID=272594

 

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Presentazioni in Italia e Recensioni

Dal 18 novembre al 19 dicembre 2008 il libro è stato presentato a Roma, Chieti, Trieste, Verona, Venezia, Treviso, Bari, Lecce, Siena, Parma.  Nel 2009 sono previste presentazioni a Genova, Torino, Milano, Bologna, Cesena, Viareggio, Napoli, Palermo.

Di seguito le prime reazioni-recensioni.

 

Roma 19 novembre 2008                   Serena D’Arbela *

Teresina una storia vera  è veramente un ottimo testo, originale per l’impostazione quasi teatrale e l’indagine sociologica. La prima parte colpisce come documento psicologico  e umano veridico  ma anche letterario in quanto il  libero confessarsi di Teresina la tramuta in un personaggio che impone un linguaggio proprio e un suo modo di interpretare il mondo.

Poi le altre parti interessanti in cui la figura si rituffa nel contesto sociale e nelle  puntualizzazioni storiche e il libro diviene saggio. Devo  dire che la vicenda di Teresina mi ha riempito di commozione fino alle lacrime per l'ingiustizia di una tale condizione umana che è stata ed è condivisa da migliaia e migliaia di donne sfortunate. Quando da un  libro ti giunge un tale impulso di ribellione vuol dire che è riuscito nel suo scopo. 

I discorsi  slegati a volte alcolici della protagonista si ricongiungono in una volontà difensiva e di fierezza verso il suo essere nonostante tutto. Magari infioretta qualche situazione come il personaggio di Vestire gli ignudi di Pirandello per non perdere la speranza e per offrirsi agli altri in modo da essere accettata. Lo  scopo preciso di allevare il figlio in cui si concentra tutta la sua disperazione in mezzo alla ferocia del mondo oltre a mostrarne la grandezza nella polvere rispecchia la vita e l’istinto materno di tante altre donne e la vita della città in quel tempo ( la Frezzeria, i gruppi notturni di lucciole).

Ho ritrovato anch'io in queste pagine la Venezia che ho conosciuto ( ci ho abitato dal 37 fino al 61) i luoghi  e certe parole veneziane  che sentivo pronunciare al mercato o tra la gente. Non sono e non eravamo in famiglia veneziani. A casa si  parlava italiano ma intorno a me c'era questo dialetto particolare che mi risuona ancora nella memoria. A volte le parole mi sembravano buffe,a volte calzanti. Anche quel Combatter ! detto come prova di una saggia indolenza e di scetticismo  da  gondolieri e domestiche e da tanti altri.

 Anch’io insieme alla mia gemella, come lei ero attratta da quel mondo emarginato di  gente minuta, prostitute,suonatori ambulanti,venditori di sigarette,contrabbandieri, al di là del  varco della rispettabilità borghese così ipocrita e noiosa. Con Valeria sotto l’input di un profondo desiderio di giustizia sociale e delle letture di Dostoiewski,Hugo,Rolland e altri  vagabondavamo alla ricerca di quartieri altri,da Santa Marta, a Castello, e di personaggi dalla vita magari travagliata ma vera.

Ho ritrovato La Grotta con quel soffitto di finte stalattiti verdi klitsch dove io e Valeria sedicenni vivemmo dei momenti intensi davanti a un vermuth con un suonatore che cantava e suonava Firenze stanotte sei bella. Ci sembrava un luogo magico..

(Ci sarebbero mille cose da confrontare.. Ne parlo nel mio libro Siete proprio veri?). Anche per me Venezia è la mia città, ma in senso artistico,come una madre d’arte, come una terra natale della creatività.

Il suo libro come ha dimostrato il dibattito alla Casa Internazionale delle Donne di Roma ( il 18 novembre )  suscita molte ramificazioni e questioni, è fertile.

Anche l’intento finale di fare qualcosa per incidere sulla violenza maschile ( e aggiungo sulla complicità o sudditanza femminile ) scoprendone le origini mi sembra un grande pregio dell’opera. Meritoria l’azione di Maschile Plurale. Ho sempre auspicato come punto d’arrivo  una dimensione di “persona” condivisa da  maschile e  femminile pur rispettandone le differenze.

( Articolo in pubblicazione sulla rivista nazionale dell’ANPI “Patria Indipendente” )

* Vive a Roma da anni, ex Insegnante, Pubblicista e Scrittrice, esperta di storia del Cinema.

 

 

Verona 26 novembre 2008                   Anna Pacifico*

Proclamata la giornata contro la violenza sulle donne. Un altro muro abbattuto?

Nomina non sunt res, occorre ricordarlo, e ce lo ricorda un bellissimo romanzo/reportage di Gianguido Palumbo dal titolo Teresina. Una storia vera.

Come tutte le storie narrate da Palumbo si tratta di storie vere e tutte incentrate su conflitti. Questa narra di un ‘conflitto’ apertosi in lui, lo scrittore, allora giovane studente di architettura a Venezia, trovatosi a vivere a contatto diretto con la violenza, forse per la prima volta nella sua vita. Si tratta di una storia documentaria di un duplice processo: di riappropriazione del vissuto e di assunzione di identità, quella relativa alla protagonista del racconto e quella riguardante lo stesso scrittore. ‘Vite incrociate’, appunto, si legge in un capitolo del libro:

Mano a mano che le nostre vite entrarono in comunicazione per la vicinanza fisica degli appartamenti, per la caratteristica della stessa città che imponeva una continua condivisione di spazi, luoghi, abitudini, in tutti noi e in me crescevano contemporaneamente il disagio e il peso della sofferenza di questa donna, nostra vicina di casa, ma anche l'affetto e l'interesse per una persona veramente particolare che esprimeva comunque una voglia di vivere, una grande energia attraverso la sua intelligenza, la sensibilità e la grandissima umili» che spesso arrivava al sarcasmo.

Una parete separava le due vite, quella di Teresina, donna povera e picchiata dal marito e dal figlio, e quella del giovane Gianguido. Ma la barriera cade, sin da quel primo incontro a Venezia, sul pianerottolo male illuminato, nel settembre del 1975, finché, dopo 50 anni e dopo 30 anni dalla testimonianza di Teresina, Palumbo avverte l’esigenza di riferire, superati timori e pudori, la storia di questa donna che sin dall’inizio gli apparve come eccezionale.

In che cosa consiste l’eccezionalità lo spiega Palumbo e può essere così riassunto: Teresina aveva la capacità di vivere le sofferenze comprendendo da dove esse le derivassero. La sua forza, la capacità di innamorarsi, di scegliere di essere madre anche a costo di impensabili sacrifici, la sua ironia e l’intelligenza, furono e sono ancora testimonianza di un ‘eroismo’ femminile che disorienta. La sua, al pari di altre semmai anche più dolorose esistenze, acquista valore di significanza nel momento in cui diviene mezzo di elevazione di altre coscienze, come lo fu per quel gruppo di studenti impegnati politicamente nelle lotte del ’68, alla ricerca di ‘tipi sociali’, tra cui lo stesso scrittore.

Teresina, inoltre, accetta prima di morire di essere intervistata dai giovani che conobbe e ai quali si legò di affetto quasi filiale, perché consapevole della necessaria unione delle parole all’agire. Decide, cioè, che la sua esperienza deve poter essere nominabile, deve poter essere veicolata e farsi memoria per scuotere le coscienze, e nel farlo seppe anche scegliere un testimone privilegiato tra quegli studenti che dimostrarono, per la prima volta nella suo doloroso percorso di vita, un vero interesse per lei.

Ed ecco il risultato dell’incrociarsi delle storie nel soggettivarsi delle esperienze, della volontà da un lato di offrire un sapere e dall’altra di riceverlo, e l’esame di responsabilità che ne è derivato nel profondo riesame della coscienza maschile. Gli uomini dell’associazione nazionale ‘Maschile Plurale’, impegnati come Palumbo in riflessioni e pratiche di ridefinizione dell’identità maschile, sono tra quelli capaci non solo di guardare la realtà con le sue diverse sfaccettature, non solo di riesaminare la memoria storica del loro vissuto, ma anche di interrogarsi sul nuovo per dare nuovo senso alla realtà.

A noi donne non resta che sperare che questo sia non in nome di una facile ‘riconciliazione’ o di una pericolosa minimizzazione del ‘conflitto’, ma per consentire che ognuno viva il conflitto dentro di sé e si accorga che questo non è mai definitivamente risolto, memori a questo riguardo del monito di Simone Weil: non credere che le cose avvengano in maniera conforme alla giustizia; tanto più che noi stessi siamo ben lungi dall’essere giusti.

Personalmente vivo sempre il conflitto anche per il negativo insito nell’agire femminile, fatto di rancori, rivalità e allontanamenti improvvisi. Non sempre la ‘relazione’ tanto auspicata da noi donne viene in realtà praticata. Ho imparato altresì a non fare dell’antimaschilismo facile, e non per pentimento, ma perché lo ritengo ingiusto, dal momento che lo sguardo va puntato non sugli uomini e sulle donne in generale ma sui singoli. E innanzitutto perché è certo che nomina non sunt res, ossia che non è sufficiente che le cose siano conosciute o dette perché realmente esistano.   

( Articolo pubblicato nel sito  www.edscuola.com  il 26 novembre 2008 )

*  Vive da anni a Verona, ex insegnante, scrittrice, componente del Circolo della Rosa di Verona.

 

 

Siena 13 dicembre 2008                   Albalisa Sampieri*

Teresina, una storia vera                  

Prima di parlarvi del libro, una breve presentazione personale, non per inutile protagonismo, ma perché serve a collocarmi rispetto a questa lettura, a spiegare la lente attraverso la quale ho guardato gli accadimenti che vi sono riportati e di conseguenza a condividerli più facilmente con voi ai quali chiedo di accompagnarmi brevemente in questo percorso.

Ho 60 anni e da quando ne avevo 12 vivo a Siena. In questa città ho studiato, qui ho fatto una figlia ed ho sedimentato amori ed amicizie importanti ed è stato in questa città che nei primi anni ’70 ho fatto le mie prime esperienze politiche ed ho quindi conosciuto il femminismo. Dopo aver fatto parte di varie associazioni di donne che hanno operato e operano a Siena e non solo, oggi sono socia di Atelier Vantaggio Donna una associazione nata nell’alveo del movimento delle donne, in quello spazio dove le donne hanno potuto prendere la parola, assumere positivamente e criticamente il proprio ruolo sociale, un’associazione che nasce con l’obbiettivo di  promuovere azioni a favore di una piena cittadinanza del genere femminile. A partire dagli anni ‘70 a tutt’oggi, il mio sguardo sul mondo rimane segnato da una prassi politica che fin dall’inizio ha toccato equilibri delicatissimi tra inconscio e coscienza, proprio nel momento in cui spostava il rapporto tra i sessi da una lettura fatta solo in chiave sociale, così sintetizzerei il processo di emancipazione delle donne iniziato nell’immediato dopoguerra,  a un cambiamento molto più profondo, la liberazione ovvero la sottrazione a modelli culturali storici e psicologici definiti dagli uomini per le donne. Il femminismo ha quindi spostato il punto di osservazione, ha tentato di ricostruire il rapporto tra i sessi,  segnando la mia vita e quella di tante altre donne, nonché la memoria dei nostri corpi, i nostri sogni, i nostri desideri, ma forse leggendo ciò che Gianguido Palumbo scrive nel capitolo Teresina e l’Italia di oggi, mi viene da sottolineare che finalmente il femminismo ha lasciato segni anche nei corpi e nei desideri degli uomini.

 “Teresina, una storia vera” mi ha sorpreso la sua costruzione. Di fatto la storia vera e propria di Teresina ne occupa forse meno di un terzo ed è la trascrizione pressoché integrale di una registrazione audio fatta dall’autore nell’autunno del 1979. Salta però subito agli occhi  come la storia personale  di Teresa, Teresina, Ina  assuma il significato di un paradigma dal quale partire per costruire una riflessione profonda ed irrinunciabile non solo sulla condizione di Teresina, ma  anche e soprattutto sullo stare al mondo oggi degli uomini e delle donne, sulla possibilità di costruire tra i generi rapporti e relazioni degni di tale nome e basati non sulla sopraffazione, ma su una parità di sguardo. Con Teresina lo facciamo cercando di mettere a fuoco un elemento di dolorosa attualità: la violenza maschile contro le donne, ma vorrei procedere per gradi per non cadere in confusione e seguendo appunto la linearità e la cronologia del raccontarsi di Teresa.

La sua è una biografia intrisa di dolore, senza dubbio, ma che Teresina narra senza nessuna inclinazione all’autocommiserazione, nella sua lingua madre, il veneziano, e nel suo linguaggio libero ed originale fatto di salti cronologici, di intermezzi di canzoni, di intercalare rare volte triste o nervoso, più spesso allegro e solo ad una lettura superficiale, inconsapevole. Teresa infatti è perfettamente consapevole della  condizione di miseria morale e materiale che ha contraddistinto la sua vita, ne intuisce le cause che non riguardano solo lei o la sua volontà, non le addebita ad un destino irrinunciabile anche se a tratti c’è una sorta di fatalità che traspare, ma prende parola coraggiosamente, senza nessun censura o rimozione, senza paura di giudizio,  confidandosi a Gianguido del quale, negli anni di vicina convivenza nello stesso pianerottolo,  ha evidentemente  imparato a fidarsi. Ecco dunque che il suo prendere parola, il suo narrarsi la pongono, forse per la prima volta, al di fuori delle umiliazioni, delle fatiche, delle delusioni, le restituiscono dignità  ed insieme libertà di essere ciò che è, ma al contempo le richiedono di assumere e riconoscere la propria situazione. Teresina lo fa in piena scioltezza, nutrita da quella sensazione di protagonismo che ne riceve, si concede momenti di autocompiacimento “ero bela, no par vantarme. Ho posato anche all’Accademia in Campieo Bembo….”riconosce, seppur con pudore, al suo corpo il diritto di piacere, di godere dell’amore e del sesso, non giudica e non vuol essere giudicata sulla sua vita e sulle sue scelte così come non vuole essere giudicata sulla qualità del suo grande amore per il figlio.

 “Sai quando una donna scende allo scuro sotto le stelle” così ci catapulta nella sua  esperienza di prostituzione,  ci svela infine della sua fede politica “io sono stata sempre comunista” e della sua fede in Dio “Io prego,ma a letto, non in chiesa……Credo fermamente nel senso che ci sarà un Supremo.”  Sembra un canovaccio teatrale pieno di comicità e di disperazione, un racconto frammentario e disarticolato, illuminante e buio sulla sua felicità/infelicità che ci lascia in bocca il sapore amaro di una sardonica rabbia contro le lacerazioni, le difficoltà, i dolori che accompagnano così spesso la vita delle donne.

C’é comunque nel racconto che Teresina fa di sé un punto particolarmente dolente; lo è, dolente, per il significato intrinseco che ha, ma anche e soprattutto per quello estrinseco, per la rappresentazione che ne fa la stessa protagonista e per la valenza che assume nella battaglia che le donne stanno facendo da anni per cambiare la loro condizione. Si tratta della questione della violenza, Teresina e le botte come si intitola il capitolo che riguarda quella parte della sua vita.

Qui si scopre una sorta di improvvisa afasia, Teresa sembra sorvolare su ciò che poi la porterà alla morte, rimuove cause e conseguenze, giustifica suo marito e suo figlio; nessuna inquietudine traspare dalle sue parole a proposito del fatto che quel corpo sul quale entrambi si accaniscono sia non solo il suo, ma quello di una madre e di una moglie che ha dato la vita, le  cure necessarie nel prosequio del vivere. Lungi dal voler rimproverare Teresa di questa afasia, di questa rimozione, la prendo invece a pretesto per una riflessione sul tema della violenza e vorrei trasferire il silenzio di Ina nello spazio delle responsabilità collettive. Proprio da qui infatti, dovremmo cominciare a riflettere e anziché limitarci a deprecare la violenza, invocando pene più severe per gli aggressori, più tutela per le vittime, forse sarebbe più sensato gettare uno sguardo proprio là dove non vorremmo vederla comparire, in quelle zone della vita personale e pubblica che hanno a che fare con gli affetti più intimi, con le gioie e la sofferenza di ogni essere umano, con tutto ciò che ci è più familiare, ma non per questo più conosciuto. Era senza dubbio questo che Teresina non sapeva spiegarsi e da qui nasce il suo ed il nostro silenzio che  Patrizia Romito ha definito “assordante”: i suoi aggressori non avevano il volto dello sconosciuto o dello straniero, ma sedevano alla sua stessa tavola, dormivano nel suo stesso letto, lasciando così che  l’offesa perdesse i suoi contorni, trovasse comprensione, producesse adattamenti o resistenze sotterranee e questo avviene non solo nel cuore e nella mente di Ina, ma in quelli di tante altre donne ed uomini in tutto il mondo.

Come purtroppo dicono anche gli ultimi dati Istat che il libro riporta in calce, a uccidere, violentare, sottomettere, sono prevalentemente mariti, figli, padri, amanti incapaci di tollerare pareti domestiche troppo strette perché le donne chiedono il diritto di occupare spazi fin qui loro negati, costringendo così quegli stessi uomini  a fare i conti con abbandoni, fragilità e dipendenze maschili insospettate.

La violenza sulle donne crea sofferenza, annichilimento, silenzio, spesso morte, ma anche adeguamento, rassegnazione, sottrazione di libertà femminile; la conosciamo  nella difficoltà sociale a stabilire rapporti di equità, dignità, riconoscimento, così come nei nostri contesti privati ,  nelle relazioni amorose ed affettive.

Oggi grazie all’impegno politico delle donne, la violenza si nomina sempre di più e quando se ne parla non si fa solo riferimento alle botte, agli stupri, ma se ne indica con forza la sua origine ovvero il profondo disequilibrio tra i sessi, la costruzione gerarchica che sottende alla relazione uomo donna in tutti gli ambiti, principalmente in quello simbolico che li riassume poi tutti e da cui consegue la collocazione di subordinazione delle donne in tutte le società.

Il 25 novembre scorso, la mia associazione insieme alle tre associazioni che in provincia di Siena fanno attività di ascolto ed aiuto alle donne maltrattate, all’Amministrazione Provinciale- Assessorato alle Pari Opportunità che l’ha promosso e sostenuto ed altre Istituzioni come Questura, Prefettura, ASL7 e Azienda ospedaliera, tutti questi soggetti dicevo, hanno firmato un protocollo di intesa il cui incipit recita:

La violenza contro le donne comprende tutti quei comportamenti che ledono o danneggiano il corpo della donna, la sua sessualità, la sua identità, la sua autostima, la sua autonomia economica, la sua spiritualità.

Parole che non danno adito ad equivoci, ma dobbiamo anche prendere atto che la visibilità di questo fenomeno  è assai inferiore alla sua entità e gravità; il motivo di questa invisibilità, di questo “silenzio assordante” sta nella difficoltà a smascherare le forme di dominazione, esclusione, controllo e rappresaglie che gli uomini violenti agiscono nei confronti delle donne affinché esse stiano al loro posto, ovvero lontano dal posto che gli uomini violenti considerano come il loro.

La violenza degli uomini sulle donne non è mai la violenza di un uomo su una donna: non si può comprendere soltanto attraverso la storia personale dei soggetti, ma chiama in causa i modelli diffusi di relazione fra i sessi e per contrastarla è necessario mettere in discussione e decostruire le strutture del potere e opporsi all’accettazione sociale e culturale degli atti di violenza, è necessario mettere insieme le voci, le menti, le forze oltre che delle donne anche degli uomini.

Questo libro ci offre l’occasione di guardare concretamente in questa direzione: dismesse le armi della contrapposizione tra i sessi, necessaria negli anni del primo femminismo per trasformare la contraddizione uomo-donna in lotta politica, oggi, forti delle trasformazioni che ciascun genere per suo conto è riuscito a comporre intorno a nuove identità, le donne e gli uomini possono formare alleanze inedite cercando, come scrive Gianguido Palumbo “strade nuove che rilancino la vitalità delle diversità di genere per un arricchimento reciproco delle singole personalità e della società nel suo insieme in un’Italia che ha bisogno di rinascere”.

Ringrazio Gianguido sinceramente per avermi fatto conoscere Teresa e attraverso lei le cento Teresine per le quali “normale è sempre stato mordere l’osso dell’ultima diversità”….. sono le parole a chiusura di un bell’omaggio che rende loro Gualtiero Bertelli e che anch’io faccio mie per concludere questo mio intervento.

( in occasione della presentazione svoltasi a Villa Ghigi di Castelnuovo Berardenga-Siena il 13 dic.2008 ).

* Socia dell’ Associazione Atelier Vantaggio Donna di Siena.

 

 

 

 

 

 

 

Foto e testi di Gianguido PAGI Palumbo
last update: 23/05/2011 11.07.16