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  S.O.S

Dall'Isola di Giannutri l'Isola del Giglio- marzo 2006-FotoPAGI

 

Roma  20 maggio 2008

 

Per un Film dedicato all’isola di Giannutri

 

S.O.S

 

di

Gianguido Palumbo

 

 

Una archeologa rumena, immigrata in fuga da un clan di sfruttatori italo-rumeni, vive da un anno clandestina e invisibile nell’isola di Giannutri, usando il Faro e una delle caverne sottostanti come dimore, sentendosi ormai come la Protettrice dell’Isola, della Villa Romana, della Natura, da oltre centocinquanta anni messe a rischio da incapacità  e irresponsabilità sia pubbliche che private.

Ma ogni notte, prima dell’alba, la donna manda dei messaggi luminosi verso il mare, con una grande torcia elettrica, degli SOS in latino come messaggi in bottiglia per chi li volesse trovare e interpretare.

Una notte, una barca con un Navigatore solitario che risaliva verso nord, vede il Faro e subito sotto il messaggio luminoso in latino.

Molto incuriosito l’Uomo decide di scoprire chi in quell’isola, dove lui non era mai stato, forse ha bisogno di aiuto.

Vira verso il Faro, trova un approdo sicuro, ormeggia la barca e verso l’alba comincia a risalire la costa per arrivare al Faro da dove partivano le luci.

Si aspettava un barbone, uno strano personaggio, forse un po’ matto, e invece incontra una donna molto bella quanto dura, decisa e diffidente : Jelèna, archeologa rumena.

 

Inizia così segretamente sull’Isola una storia difficile di scoperta reciproca.

 

Jelèna svela la sua storia a Francesco, professore di lettere antiche, quarantenne genovese scapolo, che si innamora a poco a poco e rimane giorni e giorni sull’Isola facendo innamorare anche l’archeologa.

 

Jelèna, 35 anni, laureata in Archeologia, da anni avrebbe voluto a tutti costi raggiungere Roma per approfondire alcuni studi sui Mercati Traianei, ma non aveva soldi a sufficienza.

Un giorno suo cugino le propone una soluzione: raggiungere Roma dove rimanere alcuni mesi aiutando dei suoi amici e avendo anche il tempo di fare i suoi studi.

Lei gli crede, parte con un’auto guidata a turno da due giovani, ma appena arrivati a Roma i due, d’accordo con una banda locale italiana, la sequestrano, le tolgono il passaporto e la costringono a prostituirsi, sfruttando la sua notevole bellezza.

Jelèna resiste una sola settimana e finalmente una notte riesce a scappare, aiutata da un cliente più sensibile che le suggerisce di nascondersi in una delle isole toscane e la lascia a Porto S.Stefano sull’Argentario dove lei riesce a imbarcarsi per Giannutri, camuffata da turista in mezzo ad un gruppo.

Arrivata nell’Isola, che Jelèna conosceva solamente dai libri per la presenza della Villa Romana, riesce a dileguarsi e arrivata al Faro per non farsi trovare, inizia a sopravvivere segretamente, prima in attesa di altre occasioni di ritorno e poi a poco a poco amando sempre più Giannutri.

Trova soluzioni essenziali di pernottamento, di alimentazione primaria: erbe, pesci, conigli, frutti.

 

Passano i mesi. Superata la prima estate, saputo che oltre settembre l’Isola si svuota, tranne pochi addetti e appassionati, Jelèna decide di rimanere ancora, sempre più libera di muoversi attraversando di notte tutta l’isola, entrando segretamente nelle case senza rubare ma leggendo libri, prendendo qualche vestito e qualche strumento necessario per la sua sopravvivenza, studiando la storia di Giannutri, diventando sempre più come un fantasma protettore delle bellezze naturali e storiche di quell’Isola piccola ma carica di vita.

La sua competenza tecnica di archeologa e la sua passione naturalistica la portano a diventare una straordinaria ed anomala conoscitrice del luogo, una sorta di Dea Protettrice.

 

La storia di Jelèna colpisce Francesco quanto la sua bellezza.

 

I due trascorrono giornate indimenticabili, raccontandosi le loro vite, i pensieri, i ricordi, scoprendo l’isola per terra e per mare, facendo l’amore in luoghi speciali e segreti, sempre evitando gli altri, i turisti e i pochi abitanti.

 

Dopo molti giorni di scoperte della bellezza del posto e di innamoramento, Francesco  propone ad Jelèna di seguirlo per andare a Genova dove lui riuscirà a risolvere il suo problema di clandestinità e le permetterà di riprendere la sua passione di studio e lavoro dedicati al mondo romano antico ed eventualmente trasferendosi poi tutti e due nel Lazio.

Jelèna, al contrario, chiede a lui di rimanere nell’Isola a proteggere la Storia e la Natura del luogo, affiancandola in una vita d’amore e dedizione a Giannutri. Gli spiega sempre più appassionata che Loro, Italiani, Europei, Occidentali stanno perdendo il senso della vita, della cultura, dei valori umani più importanti per inseguire uno strano destino di “modernità” incontrollata e senza futuro, e che altri Popoli dovranno prendersi la responsabilità di salvare l’umanità dalle guerre, dalle catastrofi ambientali, naturali, sociali ed economiche. 

Giannutri per lei è solo una piccola isola dove sta cercando segretamente di evitare il peggio, facendo finta di essere un fantasma che interviene ogni tanto o ovunque, spaventando le persone più incoscienti e aiutando le più responsabili e sensibili.

Jelèna dice a Francesco che lei non vuole andare via subito e invece sarebbe felice se lui rimanesse : “ Ma perché non rimani ?”.

 

                                                       ( finale A )

 

Francesco capisce, approva conquistato dalla forza, dall’intelligenza, dalla bellezza di quella donna così particolare, ma non è altrettanto forte da cambiare vita totalmente, da rinunciare alla sua professione di docente, di studioso e di navigatore solitario, rinunciare alla sua città per rimanere accanto a Jelèna di cui comunque è sempre più innamorato.

L’Archeologa e il Navigatore genovese fanno l’amore per l’ultima notte nel Faro e prima che albeggi si salutano: lui scende verso la sua piccola barca, scioglie l’ormeggio, alza le vele e riprende la rotta verso nord mentre Jelèna invia il suo ultimo messaggio di luce in latino.

( finale B )

 

Alla fine di una notte nel Faro quasi insonni per le rispettive decisioni da prendere dopo una serata d’amore forse ultima, Jelèna ipersensibile a qualsiasi suono capisce che qualcuno si sta avvicinando al Faro e avverte silenziosamente Francesco : forse li hanno trovati ma chi, la Polizia o il Cugino e la Banda Italo-Rumena ?

Velocissimi riescono ad uscire dal retro dell’edificio per cercare di scendere sulla scogliera e raggiungere la barca ma a metà sentiero vengono avvistati da una piccola squadra di Finanzieri chiamati dalla moglie del Guardiano dell’Isola insospettita da alcune tracce lasciate dai due innamorati nelle ultime settimane.

 

Mentre Francesco e Jelèna, arrivati alla barca cercano comunque di salpare e scappare via mare, proprio dallo scoglio vicino appare anche una motovedetta della Guardia Costiera coordinata con i Finanzieri che raggiunge i due fuggiaschi in pochi minuti.

 

Jelèna e Francesco si guardano disperati, si abbracciano fortissimi e iniziano a baciarsi per l’ultima volta con una intensità ed un amore che lascia impietriti gli uomini in divisa arrivati dal mare e da terra a pochi metri da loro.

 

( finale C )

 

Alla fine di una notte nel Faro quasi insonni per le rispettive decisioni da prendere dopo una serata d’amore forse ultima, Jelèna si alza per godersi l’alba sugli scogli vicini e mentre è completamente assorta dalla visione del sole che sorge dall’orizzonte di terra della vicina Toscana, sente una mano forte e violenta che le blocca la spalla e una voce maschile che sibila nella sua lingua “ Adesso basta ! “.

Jelèna non fa a tempo ad urlare d’istinto per avvisare Francesco che un’altra mano le chiude la bocca e si ritrova ormai prigioniera di due uomini : il Cugino ed un italiano complici.

Il gruppo di tre persone sta per scendere verso il mare dove una barca a motore li sta aspettando quando improvvisamente esplodono in sequenza un colpo di pistola e uno più forte di fucile da caccia : Francesco si era alzato poco dopo Jelèna e vista la situazione aveva immediatamente preso la sua pistola segreta sparando un primo colpo in aria pronto a ferire con un secondo gli uomini e affrontarli a tutti i costi per salvare la sua donna. Contemporaneamente il Guardiano dell’Isola, che aveva ormai scoperto in silenzio negli ultimi giorni prima Jelèna e poi Francesco e si era deciso ad avvertirli del problema di una clandestinità prolungata, era arrivato all’alba verso il Faro per invitarli ad andare via, e trovata la scena dell’aggressione a Jelèna aveva sparato un altro colpo in aria.

I due malviventi sorpresi allentano la presa su Jelèna per un attimo per potere rispondere al fuoco, la donna prova a svincolarsi, Francesco urla e minaccia gli uomini, il Guardiano si avvicina sparando un altro colpo a terra verso di loro, Jelèna cerca di scappare verso i suoi salvatori e un colpo di pistola del cugino la raggiunge ad una gamba.

A quel punto Francesco, tiratore esperto per passione, urla ancora a Jelèna di stare ferma mentre colpisce l’italiano ormai terrorizzato e un altro colpo del Guardiano raggiunge il Cugino all’addome.

Mentre Francesco, ferito leggermente ad una spalla e il Guardiano illeso bloccano definitivamente i due con un cordino che l’uomo dell’Isola teneva sempre con sè, assicuratisi che Jelèna sia ferita non gravemente, arrivano alcuni abitanti richiamati dagli spari assieme a due vigilantes privati in servizio permanente a Giannutri.

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Isola di Giannutri - marzo 2006-FotoPAGI

 

Il Racconto

 

Mancava un’ora all’alba.

Solo una piccola barca stava veleggiando verso nord  a poche miglia dall’Isola, ché in quel periodo dell’anno il mare in quel tratto era poco frequentato.

Il Faro ruotava regolarmente indicando l’estremo meridionale della piccola mezzaluna mediterranea.

Sul tavolino illuminato da una piccola lampada la carta nautica stava permettendo il riconoscimento del Faro. Mani esperte collocarono gli strumenti tradizionali di misurazione e il calcolo confermò che a ponente si trovava l’Isoletta di Giannutri.

Il proprietario delle mani esperte non l’aveva mai visitata, passando di li spesso ma sempre andando da nord a sud e da sud  al nord  fra i due poli dei suoi interessi, senza scali : Genova e Napoli.

 

Pochi minuti dopo la verifica della sua posizione, riguardando per un attimo verso il Faro, l’uomo si accorse che una luce intermittente, meno forte ma ben visibile, stava trasmettendo un messaggio in codice. Scattò verso la cabina per recuperare carta e penna e potere trascrivere la comunicazione.

Aspettò la fine del ciclo di luce e buio per segnare dall’inizio il messaggio completo.

Quando ebbe concluso la trascrizione sul foglio ritornò sul suo ripiano di lavoro e tradusse la sequenza. Rimase stupito dal testo: “Hic sunt leones”. Una frase in latino e per giunta piena di possibili significati lanciata dall’estremo di una piccola isola alle cinque di un mattino di settembre.

Poco prima aveva pensato ad un sos di qualche persona in difficoltà e si era preparato ad avvicinarsi alla costa per capire meglio ed eventualmente comunicare direttamente dalla barca alla roccia con chi aveva lanciato il messaggio. La frase in latino lo spiazzava, rasserenandolo da una parte ma lasciandolo inquieto dall’altra: chi avrebbe potuto lanciare un simile appello da quell’isola a quell’ora ?

 

La barca, spinta da un buon vento favorevole, stava superando Giannutri ma il Navigatore solitario decise di cambiare rotta per verificare il mistero. Si preparò alla virata modificando le posizioni delle vele e del timone e in pochi minuti la barca puntò verso il faro.

Continuava ad esserci solo quella vela in mare e ormai solo la luce del Faro, essendo finita l’emissione del messaggio latino. L’Isola vista dalla barca sembrava deserta, senza altre illuminazioni di case o strade. Il cielo era bucato da poche stelle e  pieno di nuvole, la luna calante appariva e spariva fra una nuvola e l’altra spinta dal vento di sud ovest.

 

Avvicinatosi alla costa, il Navigatore si trovò di fronte verso la sua sinistra, ad ovest, una sequenza di alte rocce a picco sul mare con diverse caverne e fortunatamente a destra, verso est un lato di costa degradante verso il mare con qualche piccola caletta dove avrebbe potuto fermarsi al riparo dal vento e gettare l’ancora.

Aspettò che albeggiasse per avere una visione migliore del sito e scelto il punto più sicuro, messa in sicurezza la barca, calò in mare il piccolo canotto a remi e arrivò agli scogli più vicini in pochi minuti. Tirò a secco il canotto, lo legò ad un masso e iniziò a risalire in direzione del Faro che si trovava ad un centinaio di metri più in su.

 

Il sole saliva alle sue spalle e illuminava sempre più nettamente e di taglio il mare, le rocce nude e i sassi più alti ricoperti di vegetazione, mentre i primi gabbiani salivano e scendevano lungo le pareti più ripide della costa. Il Faro si era spento automaticamente e il corpo del Navigatore curioso era l’unico punto mobile su quella parte dell’Isola al suo risveglio.

Mentre saliva verso il Faro immaginava l’autore dello strano messaggio: probabilmente un uomo, probabilmente non più giovane, probabilmente fuori di sé o comunque poco normale e sicuramente bisognoso di aiuto o di conforto. Era sempre più curioso il Navigatore solitario ma anche un po’ teso, non impaurito chè non sarebbe arrivato fin lì, ma preoccupato dell’incontro imprevedibile. Inoltre, non essendo mai stato sull’Isola, non sapeva molto di quel luogo e dei suoi abitanti o frequentatori, e così quella ignoranza specifica peggiorava la situazione. In compenso la bellezza del paesaggio, di quella piccola parte di Giannutri che stava vedendo, in una luce d’alba con le nuvole che stavano diradandosi, il mare sempre più calmo e il sole che vinceva, lo stava confortando in quell’avventura generosa.

Arrivato al Faro, dopo aver rivolto lo sguardo verso il mare, verso la caletta dove aveva lasciato la barca, rasserenato dalla tranquillità della situazione, cominciò ad osservare attentamente l’edificio al centro del quale si alzava il Faro, facendo un primo giro lento e attento d’ispezione.

Faro ed edificio, grandi e belli d’una architettura metà Novecento semplice ma accurata, simmetrica, bianca e rossa all’origine, erano abbandonati da anni, con l’unico meccanismo funzionante e attivo la grande lampada automatica alimentata da alcuni pannelli solari al silicio. Per il resto l’intonaco semiscrostato, le finestre rotte e divelte quasi ovunque, lasciavano intravedere ambienti disabitati ma ancora ingombri di mobili semidistrutti, perfino una cucina a gas e alcuni arredi collegati. Sul lato nord dell’edificio rettangolare, al centro del quale si ergeva il faro verso sud, un’ampia area pavimentata d’ ingresso esterno guardava verso l’entroterra dell’isola.

Concluso il giro attorno al Faro senza aver trovato nessuno e nessuna traccia della trasmissione di messaggi, scoraggiato ma ancora più curioso, il Navigatore solitario si sedette sui tre gradini del portone principale, al centro dell’ingresso esterno, all’ombra del sole ormai forte che provocava l’ombra lunga del faro e dell’intera costruzione sulla terra rossastra e le piante. Si sedette decidendo di aspettare almeno un’ora prima di tornare alla sua barca ed al suo viaggio di ritorno verso Genova.

Il cielo era ormai sgombro di nuvole e di un azzurro netto che si staccava verso l’alto dal verde variante delle euforbia, dei cespugli di mirto e rosmarino, dei corbezzoli, delle agavi, delle ginestre in fiore. Il mistero dell’Isola aumentava con il persistere della bellezza, della solitudine e del silenzio.

 

Stava godendosi da quasi un’ora la frescura e la tranquillità rassegnata in un’attesa sospesa quando vide apparire per poco e poi subito sparire per poi ricomparire leggermente spostata in mezzo al campo di fronte, una figura umana in movimento verso il Faro, proprio verso di lui.

Ma era ancora così lontana che non poté immediatamente capirne la tipologia : maschio- femmina, giovane- anziano, amico- nemico ?

Era stato tentato d’istinto di alzarsi e quasi andare incontro a chi forse avrebbe risolto l’enigma dei messaggi notturni, ma trovò la forza di rimanere fermo e seduto ad aspettare che la persona si avvicinasse tanto da capire almeno cosa fosse se non chi fosse.

In quel paesaggio affascinante, selvaggio ma dolce, mediterraneo a metà fra la forza rocciosa del sud e la sontuosità vegetale del nord, la figura umana, avvicinandosi lentamente a piedi, su e giù per il sentiero fra il rosso della terra, il verde delle piante e l’azzurro del cielo, si definì sempre più nettamente come una figura femminile. Da quella distanza sembrava abbastanza giovane, bella, appena vestita di pochi indumenti rovinati, con una fascina di rami secchi sulla spalla destra e un cesto di vimini appesantito dal carico tenuto col braccio sinistro.

Il Navigatore ancora più sorpreso, non si aspettava certo una donna in quella situazione: si era immaginato un uomo, forse anziano, forse malato, e si trovava davanti una giovane donna. Non era affatto sicuro però che fosse proprio lei l’autrice dei messaggi. Si alzò lentamente ma rimase fermo sull’ingresso aspettando di vedere da vicino la donna e poter capire chi fosse.

La donna, a sua volta, appena si era accorta di lui fermo all’ingresso del Faro, si era fermata di colpo a circa cento metri di distanza. Erano rimasti entrambi immobili a guardarsi a distanza come due animali che avvistatisi cercassero nel vento, nell’aria, nei rispettivi odori emanati dai corpi, dei segnali di riconoscimento, amico-nemico, sicurezza-pericolo, difesa-attacco, annusando l’aria più che aguzzando la vista o tendendo le orecchie.

Dopo lunghi minuti di immobilità, la donna aveva deciso di rischiare: a quell’ora di primissima mattina  fino a quel giorno non aveva mai incontrato nessuno ed era molto preoccupata della novità. Ma scappare probabilmente sarebbe stato peggio che sfidare la sorte e avanzare fino all’incontro con lo sconosciuto, ospite imprevisto dell’Isola.

Riprese in mano la fascina e la cesta e proseguì lentamente verso l’Uomo guardandolo fisso perché non le sfuggisse alcun movimento e potesse analizzare ogni segnale utile all’interpretazione di una minaccia o di un sollievo.

Il Navigatore era rimasto immobile e tuttora lo era anche se sudava di tensione.

La donna avvicinandosi stava svelando una bellezza particolare e quasi imbarazzante per la sua anomalia: bionda, capelli lunghi lisci malridotti, viso ovale ed occhi chiari molto forti ed espressivi,  corpo longilineo, magro, scurito dal sole, coperto da pantaloni sdruciti e una camicia arrotolata consumata in più punti, scarpe da ginnastica vecchie e scolorite.

 

Si era fermata a pochi metri da lui e aspettava di sentirlo parlare per primo.

 

Il Navigatore era rimasto a guardarla ammutolito per tutta la durata dell’avvicinamento e fece fatica a rompere il silenzio ma capì che doveva essere lui a iniziare dato il suo arrivo da intruso.

 

“ Salve, mi scuso se disturbo, ma sono salito un’ora fa dalla costa, dalla mia barca ormeggiata qui sotto nella cala, per …”

 

“E’ solo?” l’interruppe lei.

 

“ Sì, sì , ma perché ?”

 

“Non si preoccupi, lei intanto mi assicuri di essere solo, sia qui che in barca”

 

“Le ho già detto che sono solo, completamente solo, mi creda, con la mia piccola barca, che stavo..”

 

“Va bene, va bene, le credo: e cosa ci fa qui a quest’ora ?”

 

“Appunto, le stavo dicendo prima che mi sono fermato prima dell’alba e sono salito fino al faro per capire chi avesse inviato degli strani messaggi con una torcia elettrica”.

 

“Messaggi ? Erano tanti e diversi? Cosa dicevano questi messaggi ?”

 

“No mi sbaglio, in effetti era un solo messaggio ripetuto, come al solito, almeno tre volte di seguito. ( Ma allora non era Lei ? ) Un messaggio stranissimo, insolito, in latino..”

 

“ In Latino ?!”

 

“Sì, proprio in latino, che diceva “Hic sunt leones”. Lei per caso conosce il latino ? Anzi mi scusi se glielo chiedo a bruciapelo appena conosciuti, ma lei è italiana, perché la sua cadenza mi sembra particolare ?”

 

“Ma lei è venuto qui per trovare un assassino, per interrogare chiunque incontrasse, o per aiutare chi aveva scritto il messaggio ? “

 

“Ha ragione, mi scusi, non avevo intenzione ne di offenderla ne di interrogarla ma solamente di capire chi ho davanti”.

 

“ E io chi ho davanti ?”

 

“ Francesco, 43 anni, genovese, professore di latino e greco, uomo e navigatore solitario: e lei ?”

 

La donna, dopo le prime battute avvenute in difesa, l’una  in piedi di fronte all’altro a pochi passi come in un duello, si era leggermente rilassata intuendo le apparenti buone intenzioni dell’Uomo e prima di continuare il dialogo comunque difficile, sotto il peso della fascina e del cesto pieno, invitò il Navigatore a seguirla con uno scatto della testa.

Superarono il portone principale e attraversato un androne malridotto e un’altra stanza di passaggio, salirono le scale che portavano al primo piano ed entrarono in una stanza che guardava verso sud, verso il mare.

Era arredata in modo essenziale, come il carcere segreto di un sequestrato: un lettino arrugginito ma ripulito e protetto da una coperta e un cuscino, un tappetino scendiletto fatto di corda, un comodino con una candela e un coltello da pesca, una sedia di ferro, un piccolo armadio, un tavolino con un’altra candela e alcuni libri appoggiati, una matita e una penna, dei fogli, dei frammenti di pietra, una vecchia foto di un gruppo familiare.

La donna, che aveva lasciato la fascina al piano terra in un angolo della stanza di passaggio, appoggiò la cesta sul pavimento al centro della stanza, si sedette stanca sul letto e invitò con una mano l’ospite a sedersi sulla sedia.

 

“Preferisco continuare qui a parlare, senza essere visti né dal mare ne da terra. Vuole un fico, sono buonissimi, piccoli ma dolci fin troppo ?”

 

Il Navigatore quasi obbedì: senza neanche ringraziare per la fiducia accordata nel farlo entrare in “casa” sua e per la gentilezza dell’offerta, allungò la mano e iniziò a sbucciare un fico.

 

“Ma cosa fa, lo sbuccia ? Toglie il meglio, ciò che dà forza e sapore alla dolcezza morbida e quasi liquida interna con una leggera amarezza ruvida esterna ? Questi sono naturali al massimo, senza alcun trattamento, e la buccia del fico contiene anche vitamine preziose ! Mangi tutto assieme e magari pure ad occhi chiusi per assaporare meglio concentrandosi sui sapori!”

 

Lui obbedì muto per la seconda volta, chiuse gli occhi, aprì la bocca e gustò lentamente i sapori e la situazione che improvvisamente sembrava essere diventata rilassante e piacevolissima. Stava quasi dimenticando il motivo dell’approdo, il timore e la tensione dell’attesa, lo stupore dell’arrivo della donna misteriosa e la difficoltà dell’impatto.

 

“Allora cosa ha pensato di quel messaggio e chi pensa possa averlo inviato ?”

 

Era più lei che incalzava con le domande che non lui, stordito dalla sorpresa.

Superato quel momento di sospensione piacevole, con in bocca ancora il gusto particolare di un fico fresco intero,  il Navigatore si guardò attorno, ripercorrendo velocemente gli oggetti della stanza, si alzò con garbo dalla sedia per affacciarsi dalla finestra, verificare il permanere della assenza di altre persone, scrutare il mare calmo che si stendeva infinito verso sud, e rigiratosi verso la donna che lo guardava sempre molto attenta anche se più serena, le rispose:

 

“Ma lei però non ha ancora risposto alle mie domande : chi è lei ? Conosce il Latino ?”

 

“Lei cosa pensa ?”

 

“Mi è difficile interpretare la situazione ma direi di sì, lei conosce il Latino, anche se questo non significa automaticamente che sia stata lei a lanciare il messaggio questa notte.”

 

“Bene!”

 

“Bene cosa ?”

 

“Bene la sua prudenza e il suo rispetto per me”

 

“Mi fa piacere: allora ?”

 

“Allora le propongo un patto: lei ha fretta di ripartire subito ?”

 

Francesco fu colto di sorpresa da quella domanda, così come da tutto il resto fino a quel momento. Non sapeva cosa rispondere. In verità non aveva molta fretta, stava tornando a Genova ma la ripresa del lavoro sarebbe avvenuta solamente fra almeno dieci giorni, nessuno lo aspettava a casa sua tranne Kalma, il setter irlandese che aveva lasciato per le vacanze a sua sorella nella villa di Quarto. Poteva quindi decidere liberamente di rimanere qualche giorno nell’Isola per conoscerla meglio. Era ancora più incuriosito da ciò che stava avvenendo e avrebbe voluto scoprire l’autore del messaggio, o per aiutarlo o almeno per capire chi lo avesse coinvolto in uno strano gioco. D’altra parte però conosceva quella donna da appena mezz’ora e oltre la sua bellezza e la sua indubbia forza tutto il resto faceva pensare ad una storia difficile, rischiosa per chiunque ne entrasse a parteciparvi.

 

Tutti questi pensieri, pochi secondi di attività celebrale, erano avvenuti ad occhi bassi, con lo sguardo fisso casualmente sul comodino e sulla strana coppia di oggetti, una candela in un piattino rotto e un coltello da pesca. La candela probabilmente gli aveva e stava ancora suggerendo pensieri di pace, di affetto, di attenzione, di disponibilità, di generosità, di aiuto, ma quel coltello non piccolo con la lama affilata in punta e seghettata per metà, pronto all’uso (quale ?), proprio lì, accanto alla candela della Pace a pochi centimetri dal letto e adesso da lei e da lui, quel coltello aveva suggerito e continuava a ricordargli la dose di rischio , di pericolo, di incognite cui sarebbe andato incontro rispondendo “No, non ho fretta”.

 

Come spesso accade, l’indecisione fu sciolta non per vie razionali bensì semplicemente sollevando lo sguardo verso il viso della donna: in quell’attimo le sembrò ancora più bella e attraente quanto maledettamente misteriosa, da scoprire, e rispose seguendo quell’ultimo istinto riequilibrato da un guizzo di intelligenza autodifensiva:

 

“No, non ho fretta, potrei rimanere qualche giorno, ma perché farlo ?”

 

Pensò così di costringerla almeno a scoprirsi parzialmente per fargli capire qualche cosa in più e permettergli di decidere con maggiore sicurezza.

 

“Perché se vuole scoprire chi ha inviato il messaggio questa notte prima dell’alba e contemporaneamente conoscere un luogo straordinario, dovrà rimanere qui ma alle mie condizioni. Altrimenti ha altre due possibilità: non scoprire l’origine del messaggio, riprendere la sua barca e il suo viaggio; oppure andare oltre il faro a piedi in cerca di qualcun altro che l’aiuti a capire. La prima non le creerebbe alcun problema se non l’insoddisfazione della mancata soluzione dell’enigma, la seconda invece potrebbe provocare dei rischi.”

 

L’Uomo rimase in piedi mentre pensava, domandava e ascoltava la risposta, ma alla fine dell’ultima parola di lei si risedette di nuovo preoccupato e deciso a rischiare nel conoscere meglio la sua interlocutrice che lo aveva appena minacciato.

 

“Io sono stato gentile e rispettoso, lo ha riconosciuto anche lei, e adesso invece lei stessa addirittura mi minaccia se non accetto le sue condizioni : e poi quali sarebbero queste condizioni, quale sarebbe il patto che mi propone ?”

 

“Guardi che io non la sto costringendo a rimanere e non la sto minacciando: se lei vuole andare via anche subito non glielo impedirei certo. Non posso e non voglio spiegarle perché potrebbe correre dei pericoli se andasse oltre nell’isola a cercare spiegazioni attraverso qualcun altro. Se invece accetta di rimanere con me, io l’aiuterò a capire l’origine e il perché del messaggio e in più le farò trascorrere delle bellissime giornate di conoscenza della Storia e della Geografia di un pezzo d’Italia e d’Europa”

 

“E le condizioni ?”

 

“Le condizioni sono queste: che lei finché starà a Giannutri non si allontani mai da me, che non vada in giro da solo per terra e per mare, che mi segua ovunque evitando assieme di incontrare altri e di essere visti da altri o lasciare messaggi o segnali di qualsiasi genere ad altri e se ne vada via avendo conosciuto l’Isola solamente con me. Una volta partito da qui sarà libero di raccontare ciò che vuole a chi vuole. Se accetta e mi promette di non provare a tradire il patto sarò felice di ospitarla, come posso, di rispondere a tutte le sue domande, di farle passare delle giornate piacevoli.”

 

Il sole ormai era alto, dalla finestra  a sud si intravedevano alcune barche veleggiare o avanzare a motore in diverse direzioni, da un’altra piccola a nord sopra il lettino si scorgeva la radura appena verdeggiante col  sentiero da cui era arrivata la donna, piccoli uccelli in volo basso e qualche coniglio saltare d’improvviso.

L’Uomo aveva anche fame e pensò d’un tratto alla barca ormeggiata e al piccolo canotto assicurato alla meglio sugli scogli.

 

“Accetto, ma anch’io pongo una condizione alla mia permanenza: se lei entro domani notte non mi avrà proposto una spiegazione convincente del messaggio io ripartirò all’alba, esattamente 24 ore dopo il mio approdo. Se invece la sua spiegazione mi avrà convinto ( anche se non saprò mai se coincida con la verità ) potrò rimanere qualche altro giorno a scoprire l’Isola e le sue bellezze che adesso lei mi decanta.”

 

La donna, ancora seduta sul letto, lo aveva ascoltato mangiando qualche fico intero osservandolo con sempre maggiore fiducia.

 

“Bene, accetto anch’io questa sua condizione: adesso le propongo di mangiare qualcosa e poi andremo assieme a verificare l’ormeggio della sua barca.”

 

La donna si alzò e fece un altro cenno a Francesco di seguirla in un'altra parte del Faro allo stesso piano. Si era creata una stanza da pranzo a suo modo, con vista verso est: un tavolo con uno sgabello sbilenco, una specie di armadietto porta dispense e una vecchissima cucina a gas con due fornelli collegati ad una bombola. Sia la sua stanza da letto che questa da pranzo erano chiuse da porte rabberciate ma ben poste per evitare che eventuali visitatori occasionali curiosi potessero entrarvi facilmente.

 

“Si segga lì che vado a prendere la mia sedia dall’altra stanza”

 

Tornata subito e appoggiata la sedia accanto al tavolo, di fronte all’ospite, aprì la dispensa e prese del pane, del formaggio, dei pomodori, dell’insalata e alcune pere. In silenzio posò sul tavolo i cibi, prese anche una borraccia con dell’acqua, dei piatti sbeccati, due bicchieri, due forchette e due coltelli, tutti diversi fra loro.

 

“Questa sera, faremo un piccolo fuoco e potremo cucinare un coniglio che ho preso ieri sera, per adesso se le va bene ho solo questo da offrirle”.

 

“Va benissimo, grazie: ma cosa ci fa lei qui ? Da quanto tempo vive sola in questo faro, segretamente, senza farsi scoprire, e poi perché e chi è lei e chi è che ha inviato i messaggi ieri notte ?”.

 

Francesco continuava a sforzarsi di essere gentile e rispettoso ma era tale la sua curiosità che non riusciva a trattenersi dall’incalzare la donna ad ogni occasione.

 

“Io le ho promesso che entro l’alba di domani lei saprà tutto ma non tutto in una volta: sarebbe lungo e noioso. Ma dato che lei si è presentato le dico almeno qualcosa come lei ha già fatto poco fa:  Jelèna, 37 anni, rumena, archeologa, donna ricercatrice solitaria”.

 

Almeno due intuizioni di Francesco erano giuste: quella donna era straniera e conosceva il latino. Le prime conferme lo stavano rafforzando nella decisione di essere rimasto accettando la sfida degli accordi incrociati: entro poche ore avrebbe svelato il mistero del messaggio e se ne sarebbe potuto andare soddisfatto avendo conosciuto un po’ meglio Giannutri e una persona strana ma molto affascinante e interessante che forse non aveva poi così bisogno di aiuto.

Il pranzo essenziale era durato poco, con poche parole ma molto importanti per lui, e così dopo aver messo  a posto rifiuti e suppellettili, Jelèna richiuse la stanza, portando via la sedia, passò dall’altra stanza per riporla accanto all’altro tavolo, prese una sacca, chiuse anche quella porta e si avviò decisa verso le scale per scendere a piano terra:

 

“ Andiamo a vedere la barca”.

 

Francesco la seguì come un cane affezionato: aveva deciso che per ottenere il massimo di informazioni da quella donna nel tempo stabilito, gli sarebbe convenuto stare al gioco fedelmente, obbediente anche se non ciecamente supino ed eccessivamente passivo.

Prima di uscire dal portone Jelèna si fermò, guardò fuori dalle fessure di una finestra chiusa lì accanto, e non vedendo alcuno fuori, uscì facendo cenno a Francesco di seguirla standole molto vicina per controllarlo e poterlo guidare negli spostamenti clandestini.

Cominciarono a scendere verso il mare avendo prima controllata se non passasse qualche barca nel momento della loro visibilità. Jelèna camminava sicura, agile, quasi ad occhi chiusi, scartando pietre instabili, parti scivolose del terreno, ortiche o resti di agavi morte, con una conoscenza del luogo veramente particolare, o almeno così sembrava a Francesco che procedeva con meno disinvoltura ed era costretto, dall’incalzare continuo di lei - “Forza, dai, seguimi, ripeti i miei passi, sbrigati !- a superare la sua naturale lentezza da navigatore solitario senza tempo.

Raggiunta la caletta, ritrovato il canotto sullo scoglio, e a pochi metri la barca ancorata, Francesco era soddisfatto e pronto a risalire seguendo Jelèna in un’altra direzione alla scoperta dell’Isola, come gli aveva promesso. Rimase quindi fermo a guardarla in attesa di “ordini”.

 

“Beh ? Cosa guardi, cosa aspetti ? Non mi fai vedere la tua barca, non vuoi fare un primo giro dell’Isola alla scoperta dei grottini, delle calette, della Villa, delle cernie giganti, dei ricci rosa, dei gabbiani pescatori ? Non eri curioso !?”

 

Quella donna continuava a sorprenderlo e conquistarlo: era rimasto perplesso a quella proposta quasi normale di fare un giro in barca con lui.

 

“In barca con te non posso essere scoperta: potremmo essere due normalissimi turisti, coniugi o amanti o amici, e non creeremmo alcuna curiosità né visti da terra ne dal mare, quindi andiamo che il pomeriggio è bello, il vento è giusto, il mare è calmo da questa parte”.

 

Francesco allora si  mosse velocemente, da esperto orgoglioso di esserlo e a quel punto desideroso di mostrare la sua competenza e prendere le redini in mano, almeno fino a che Jelèna gli e lo avrebbe permesso. Sciolse il nodo di sicurezza che bloccava il canotto allo scoglio, lo preparò alla salita della donna, la fece andare a bordo aiutandola con una mano, salì anche lui avendo preso i piccoli remi e liberato il canotto, remò poche battute per raggiungere la barca a poppa, fece scendere Jelèna, scese anche lui trattenendo il canotto e infine tirò a bordo anche quello fissandolo alle piccole funi predisposte.

 

“Siediti qui che tolgo l’ancora e salpiamo in un attimo”.

 

Jelèna era contenta. Da quando era nell’Isola non era mai riuscita a salire su una barca, fare un giro, ammirare Giannutri dal mare, fare un bagno al largo, trascorrere qualche ora serena, senza l’angoscia di essere vista, scoperta, braccata. Mentre Francesco tirava su l’ancora sentiva una sensazione di sicurezza di piacere che non provava da tempo, da quando aveva lasciato Bucarest quel maledetto giorno di maggio a bordo dell’auto degli amici di quel vigliacco di suo cugino Mirko.

Nello stesso istante però le venne in mente il terrore di quando era salita in barca a Porto Santo Stefano, sull’Argentario, direzione Giannutri, camuffata da turista clandestina in mezzo al gruppo di tedeschi, con grandi occhiali da sole un foulard che le copriva tutta la testa e un piccolo bagaglio a mano. Quando il barcone si era mosso e la cittadina si allontanava aveva respirato profondamente e sentiva assieme un grande sollievo nel distacco da terra, dalla paura, dalla settimana più tremenda della sua vita, e una grande angoscia per ciò che l’aspettava : un imprevedibile arrivo in un’isola piccola dove avrebbe rischiato di essere riconosciuta molto presto come intrusa, clandestina, illegale, senza documenti e quindi denunciata e poi chissà..

 

“Sai anche veleggiare ?” le chiese Francesco sedutole accanto.

 

“No, questo proprio no, mi dispiace, non posso neanche darti una mano perché potrei sbagliare, ma penso che tu non ne abbia bisogno”

 

“Infatti non ne ho, grazie: ma verso dove andiamo, dove dirigo la barca a levante o a ponente, facciamo un giro verso qua o là ? “  disse indicando la costa a sinistra del Faro e a destra.

 

“Di qua, di qua, verso i Grottini, verso nord ovest, verso il tramonto: ti porto a vedere il sole morire dal posto più bello e prezioso dell’Isola e lì qualcosa ti racconterò”.

 

Il Navigatore meno solitario del solito, liberò la vela posizionandola per sfruttare meglio la brezza pomeridiana, scelse la rotta con il pilota automatico che comandava elettronicamente il timone, e tornò accanto a Jelèna per ascoltare le sue spiegazioni della costa che si andava svelando superato il capo sud del Faro. Si spostarono entrambi sul lato destro della barca per potere guardare meglio la costa illuminata pienamente dal sole.

Francesco guardava alternativamente il mare, la costa, la vela, il pilota automatico e il viso di Jelèna, sorprendendosi ormai più di se stesso in quella situazione che della donna responsabile della sua “deviazione di rotta”.

Abituato da anni a lunghe traversate da solo, a infiniti momenti di silenzio, di riflessioni, di ricordi, di verifiche tecniche delle carte, delle vele, del motore, dei cavi, della strumentazione di bordo, della cambusa, della radio preziosissima compagna, del diario di bordo, insomma di tutte quelle componenti inevitabili della navigazione in solitaria, adesso essere improvvisamente nella stessa barca che lo portava via da oltre vent’anni, in compagnia di qualcuno, per giunta di una donna, per giunta molto bella, giovane e misteriosa, gli sembrava così strano che non sapeva se essere più contento, eccitato, esaltato, o scombussolato, scioccato, tradito da se stesso.

 

“I Grottoni li vedo sempre dall’alto, mi fanno paura ma mi attraggono più di ogni altra parte della costa”. 

 

 

Foto e testi di Gianguido PAGI Palumbo
last update: 23/05/2011 11.07.16