Dall'Isola di Giannutri
l'Isola del Giglio- marzo 2006-FotoPAGI
Roma 20 maggio 2008
Per un Film dedicato all’isola di Giannutri
S.O.S
di
Gianguido Palumbo
Una
archeologa rumena, immigrata in fuga da un clan di
sfruttatori italo-rumeni, vive da un anno clandestina e
invisibile nell’isola di Giannutri, usando il Faro e una
delle caverne sottostanti come dimore, sentendosi ormai
come la Protettrice dell’Isola, della Villa Romana,
della Natura, da oltre centocinquanta anni messe a
rischio da incapacità e irresponsabilità sia pubbliche
che private.
Ma
ogni notte, prima dell’alba, la donna manda dei messaggi
luminosi verso il mare, con una grande torcia elettrica,
degli SOS in latino come messaggi in bottiglia per chi
li volesse trovare e interpretare.
Una
notte, una barca con un Navigatore solitario che
risaliva verso nord, vede il Faro e subito sotto il
messaggio luminoso in latino.
Molto
incuriosito l’Uomo decide di scoprire chi in quell’isola,
dove lui non era mai stato, forse ha bisogno di aiuto.
Vira
verso il Faro, trova un approdo sicuro, ormeggia la
barca e verso l’alba comincia a risalire la costa per
arrivare al Faro da dove partivano le luci.
Si
aspettava un barbone, uno strano personaggio, forse un
po’ matto, e invece incontra una donna molto bella
quanto dura, decisa e diffidente : Jelèna,
archeologa rumena.
Inizia
così segretamente sull’Isola una storia difficile di
scoperta reciproca.
Jelèna
svela la sua storia a Francesco, professore di
lettere antiche, quarantenne genovese scapolo, che si
innamora a poco a poco e rimane giorni e giorni
sull’Isola facendo innamorare anche l’archeologa.
Jelèna, 35 anni, laureata in Archeologia, da anni
avrebbe voluto a tutti costi raggiungere Roma per
approfondire alcuni studi sui Mercati Traianei, ma non
aveva soldi a sufficienza.
Un
giorno suo cugino le propone una soluzione: raggiungere
Roma dove rimanere alcuni mesi aiutando dei suoi amici e
avendo anche il tempo di fare i suoi studi.
Lei
gli crede, parte con un’auto guidata a turno da due
giovani, ma appena arrivati a Roma i due, d’accordo con
una banda locale italiana, la sequestrano, le tolgono il
passaporto e la costringono a prostituirsi, sfruttando
la sua notevole bellezza.
Jelèna
resiste una sola settimana e finalmente una notte riesce
a scappare, aiutata da un cliente più sensibile che le
suggerisce di nascondersi in una delle isole toscane e
la lascia a Porto S.Stefano sull’Argentario dove lei
riesce a imbarcarsi per Giannutri, camuffata da turista
in mezzo ad un gruppo.
Arrivata nell’Isola, che Jelèna conosceva solamente dai
libri per la presenza della Villa Romana, riesce a
dileguarsi e arrivata al Faro per non farsi trovare,
inizia a sopravvivere segretamente, prima in attesa di
altre occasioni di ritorno e poi a poco a poco amando
sempre più Giannutri.
Trova
soluzioni essenziali di pernottamento, di alimentazione
primaria: erbe, pesci, conigli, frutti.
Passano i mesi. Superata la prima estate, saputo che
oltre settembre l’Isola si svuota, tranne pochi addetti
e appassionati, Jelèna decide di rimanere ancora, sempre
più libera di muoversi attraversando di notte tutta
l’isola, entrando segretamente nelle case senza rubare
ma leggendo libri, prendendo qualche vestito e qualche
strumento necessario per la sua sopravvivenza, studiando
la storia di Giannutri, diventando sempre più come un
fantasma protettore delle bellezze naturali e storiche
di quell’Isola piccola ma carica di vita.
La sua
competenza tecnica di archeologa e la sua passione
naturalistica la portano a diventare una straordinaria
ed anomala conoscitrice del luogo, una sorta di Dea
Protettrice.
La
storia di Jelèna colpisce Francesco quanto la sua
bellezza.
I due
trascorrono giornate indimenticabili, raccontandosi le
loro vite, i pensieri, i ricordi, scoprendo l’isola per
terra e per mare, facendo l’amore in luoghi speciali e
segreti, sempre evitando gli altri, i turisti e i pochi
abitanti.
Dopo
molti giorni di scoperte della bellezza del posto e di
innamoramento, Francesco propone ad Jelèna di seguirlo
per andare a Genova dove lui riuscirà a risolvere il suo
problema di clandestinità e le permetterà di riprendere
la sua passione di studio e lavoro dedicati al mondo
romano antico ed eventualmente trasferendosi poi tutti e
due nel Lazio.
Jelèna, al contrario, chiede a lui di rimanere
nell’Isola a proteggere la Storia e la Natura del luogo,
affiancandola in una vita d’amore e dedizione a
Giannutri. Gli spiega sempre più appassionata che Loro,
Italiani, Europei, Occidentali stanno perdendo il senso
della vita, della cultura, dei valori umani più
importanti per inseguire uno strano destino di
“modernità” incontrollata e senza futuro, e che altri
Popoli dovranno prendersi la responsabilità di salvare
l’umanità dalle guerre, dalle catastrofi ambientali,
naturali, sociali ed economiche.
Giannutri per lei è solo una piccola isola dove sta
cercando segretamente di evitare il peggio, facendo
finta di essere un fantasma che interviene ogni tanto o
ovunque, spaventando le persone più incoscienti e
aiutando le più responsabili e sensibili.
Jelèna
dice a Francesco che lei non vuole andare via subito e
invece sarebbe felice se lui rimanesse : “
Ma perché non rimani ?”.
(
finale A )
Francesco capisce, approva conquistato dalla forza,
dall’intelligenza, dalla bellezza di quella donna così
particolare, ma non è altrettanto forte da cambiare vita
totalmente, da rinunciare alla sua professione di
docente, di studioso e di navigatore solitario,
rinunciare alla sua città per rimanere accanto a Jelèna
di cui comunque è sempre più innamorato.
L’Archeologa e il Navigatore genovese fanno l’amore per
l’ultima notte nel Faro e prima che albeggi si salutano:
lui scende verso la sua piccola barca, scioglie
l’ormeggio, alza le vele e riprende la rotta verso nord
mentre Jelèna invia il suo ultimo messaggio di luce in
latino.
(
finale B )
Alla
fine di una notte nel Faro quasi insonni per le
rispettive decisioni da prendere dopo una serata d’amore
forse ultima, Jelèna ipersensibile a qualsiasi suono
capisce che qualcuno si sta avvicinando al Faro e
avverte silenziosamente Francesco : forse li hanno
trovati ma chi, la Polizia o il Cugino e la Banda
Italo-Rumena ?
Velocissimi riescono ad uscire dal retro dell’edificio
per cercare di scendere sulla scogliera e raggiungere la
barca ma a metà sentiero vengono avvistati da una
piccola squadra di Finanzieri chiamati dalla moglie del
Guardiano dell’Isola insospettita da alcune tracce
lasciate dai due innamorati nelle ultime settimane.
Mentre
Francesco e Jelèna, arrivati alla barca cercano comunque
di salpare e scappare via mare, proprio dallo scoglio
vicino appare anche una motovedetta della Guardia
Costiera coordinata con i Finanzieri che raggiunge i due
fuggiaschi in pochi minuti.
Jelèna
e Francesco si guardano disperati, si abbracciano
fortissimi e iniziano a baciarsi per l’ultima volta con
una intensità ed un amore che lascia impietriti gli
uomini in divisa arrivati dal mare e da terra a pochi
metri da loro.
(
finale C )
Alla
fine di una notte nel Faro quasi insonni per le
rispettive decisioni da prendere dopo una serata d’amore
forse ultima, Jelèna si alza per godersi l’alba sugli
scogli vicini e mentre è completamente assorta dalla
visione del sole che sorge dall’orizzonte di terra della
vicina Toscana, sente una mano forte e violenta che le
blocca la spalla e una voce maschile che sibila nella
sua lingua “ Adesso basta ! “.
Jelèna
non fa a tempo ad urlare d’istinto per avvisare
Francesco che un’altra mano le chiude la bocca e si
ritrova ormai prigioniera di due uomini : il Cugino ed
un italiano complici.
Il
gruppo di tre persone sta per scendere verso il mare
dove una barca a motore li sta aspettando quando
improvvisamente esplodono in sequenza un colpo di
pistola e uno più forte di fucile da caccia : Francesco
si era alzato poco dopo Jelèna e vista la situazione
aveva immediatamente preso la sua pistola segreta
sparando un primo colpo in aria pronto a ferire con un
secondo gli uomini e affrontarli a tutti i costi per
salvare la sua donna. Contemporaneamente il Guardiano
dell’Isola, che aveva ormai scoperto in silenzio negli
ultimi giorni prima Jelèna e poi Francesco e si era
deciso ad avvertirli del problema di una clandestinità
prolungata, era arrivato all’alba verso il Faro per
invitarli ad andare via, e trovata la scena
dell’aggressione a Jelèna aveva sparato un altro colpo
in aria.
I due
malviventi sorpresi allentano la presa su Jelèna per un
attimo per potere rispondere al fuoco, la donna prova a
svincolarsi, Francesco urla e minaccia gli uomini, il
Guardiano si avvicina sparando un altro colpo a terra
verso di loro, Jelèna cerca di scappare verso i suoi
salvatori e un colpo di pistola del cugino la raggiunge
ad una gamba.
A quel
punto Francesco, tiratore esperto per passione, urla
ancora a Jelèna di stare ferma mentre colpisce
l’italiano ormai terrorizzato e un altro colpo del
Guardiano raggiunge il Cugino all’addome.
Mentre
Francesco, ferito leggermente ad una spalla e il
Guardiano illeso bloccano definitivamente i due con un
cordino che l’uomo dell’Isola teneva sempre con sè,
assicuratisi che Jelèna sia ferita non gravemente,
arrivano alcuni abitanti richiamati dagli spari assieme
a due vigilantes privati in servizio permanente a
Giannutri.
____________________________________________________________________________
Isola di Giannutri - marzo
2006-FotoPAGI
Il Racconto
Mancava un’ora all’alba.
Solo
una piccola barca stava veleggiando verso nord a poche
miglia dall’Isola, ché in quel periodo dell’anno il mare
in quel tratto era poco frequentato.
Il
Faro ruotava regolarmente indicando l’estremo
meridionale della piccola mezzaluna mediterranea.
Sul
tavolino illuminato da una piccola lampada la carta
nautica stava permettendo il riconoscimento del Faro.
Mani esperte collocarono gli strumenti tradizionali di
misurazione e il calcolo confermò che a ponente si
trovava l’Isoletta di Giannutri.
Il
proprietario delle mani esperte non l’aveva mai
visitata, passando di li spesso ma sempre andando da
nord a sud e da sud al nord fra i due poli dei suoi
interessi, senza scali : Genova e Napoli.
Pochi
minuti dopo la verifica della sua posizione, riguardando
per un attimo verso il Faro, l’uomo si accorse che una
luce intermittente, meno forte ma ben visibile, stava
trasmettendo un messaggio in codice. Scattò verso la
cabina per recuperare carta e penna e potere trascrivere
la comunicazione.
Aspettò la fine del ciclo di luce e buio per segnare
dall’inizio il messaggio completo.
Quando
ebbe concluso la trascrizione sul foglio ritornò sul suo
ripiano di lavoro e tradusse la sequenza. Rimase stupito
dal testo: “Hic sunt leones”. Una frase in latino e per
giunta piena di possibili significati lanciata
dall’estremo di una piccola isola alle cinque di un
mattino di settembre.
Poco
prima aveva pensato ad un sos di qualche persona in
difficoltà e si era preparato ad avvicinarsi alla costa
per capire meglio ed eventualmente comunicare
direttamente dalla barca alla roccia con chi aveva
lanciato il messaggio. La frase in latino lo spiazzava,
rasserenandolo da una parte ma lasciandolo inquieto
dall’altra: chi avrebbe potuto lanciare un simile
appello da quell’isola a quell’ora ?
La
barca, spinta da un buon vento favorevole, stava
superando Giannutri ma il Navigatore solitario decise di
cambiare rotta per verificare il mistero. Si preparò
alla virata modificando le posizioni delle vele e del
timone e in pochi minuti la barca puntò verso il faro.
Continuava ad esserci solo quella vela in mare e ormai
solo la luce del Faro, essendo finita l’emissione del
messaggio latino. L’Isola vista dalla barca sembrava
deserta, senza altre illuminazioni di case o strade. Il
cielo era bucato da poche stelle e pieno di nuvole, la
luna calante appariva e spariva fra una nuvola e l’altra
spinta dal vento di sud ovest.
Avvicinatosi alla costa, il Navigatore si trovò di
fronte verso la sua sinistra, ad ovest, una sequenza di
alte rocce a picco sul mare con diverse caverne e
fortunatamente a destra, verso est un lato di costa
degradante verso il mare con qualche piccola caletta
dove avrebbe potuto fermarsi al riparo dal vento e
gettare l’ancora.
Aspettò che albeggiasse per avere una visione migliore
del sito e scelto il punto più sicuro, messa in
sicurezza la barca, calò in mare il piccolo canotto a
remi e arrivò agli scogli più vicini in pochi minuti.
Tirò a secco il canotto, lo legò ad un masso e iniziò a
risalire in direzione del Faro che si trovava ad un
centinaio di metri più in su.
Il
sole saliva alle sue spalle e illuminava sempre più
nettamente e di taglio il mare, le rocce nude e i sassi
più alti ricoperti di vegetazione, mentre i primi
gabbiani salivano e scendevano lungo le pareti più
ripide della costa. Il Faro si era spento
automaticamente e il corpo del Navigatore curioso era
l’unico punto mobile su quella parte dell’Isola al suo
risveglio.
Mentre
saliva verso il Faro immaginava l’autore dello strano
messaggio: probabilmente un uomo, probabilmente non più
giovane, probabilmente fuori di sé o comunque poco
normale e sicuramente bisognoso di aiuto o di conforto.
Era sempre più curioso il Navigatore solitario ma anche
un po’ teso, non impaurito chè non sarebbe arrivato fin
lì, ma preoccupato dell’incontro imprevedibile. Inoltre,
non essendo mai stato sull’Isola, non sapeva molto di
quel luogo e dei suoi abitanti o frequentatori, e così
quella ignoranza specifica peggiorava la situazione. In
compenso la bellezza del paesaggio, di quella piccola
parte di Giannutri che stava vedendo, in una luce d’alba
con le nuvole che stavano diradandosi, il mare sempre
più calmo e il sole che vinceva, lo stava confortando in
quell’avventura generosa.
Arrivato al Faro, dopo aver rivolto lo sguardo verso il
mare, verso la caletta dove aveva lasciato la barca,
rasserenato dalla tranquillità della situazione,
cominciò ad osservare attentamente l’edificio al centro
del quale si alzava il Faro, facendo un primo giro lento
e attento d’ispezione.
Faro
ed edificio, grandi e belli d’una architettura metà
Novecento semplice ma accurata, simmetrica, bianca e
rossa all’origine, erano abbandonati da anni, con
l’unico meccanismo funzionante e attivo la grande
lampada automatica alimentata da alcuni pannelli solari
al silicio. Per il resto l’intonaco semiscrostato, le
finestre rotte e divelte quasi ovunque, lasciavano
intravedere ambienti disabitati ma ancora ingombri di
mobili semidistrutti, perfino una cucina a gas e alcuni
arredi collegati. Sul lato nord dell’edificio
rettangolare, al centro del quale si ergeva il faro
verso sud, un’ampia area pavimentata d’ ingresso esterno
guardava verso l’entroterra dell’isola.
Concluso il giro attorno al Faro senza aver trovato
nessuno e nessuna traccia della trasmissione di
messaggi, scoraggiato ma ancora più curioso, il
Navigatore solitario si sedette sui tre gradini del
portone principale, al centro dell’ingresso esterno,
all’ombra del sole ormai forte che provocava l’ombra
lunga del faro e dell’intera costruzione sulla terra
rossastra e le piante. Si sedette decidendo di aspettare
almeno un’ora prima di tornare alla sua barca ed al suo
viaggio di ritorno verso Genova.
Il
cielo era ormai sgombro di nuvole e di un azzurro netto
che si staccava verso l’alto dal verde variante delle
euforbia, dei cespugli di mirto e rosmarino, dei
corbezzoli, delle agavi, delle ginestre in fiore. Il
mistero dell’Isola aumentava con il persistere della
bellezza, della solitudine e del silenzio.
Stava
godendosi da quasi un’ora la frescura e la tranquillità
rassegnata in un’attesa sospesa quando vide apparire per
poco e poi subito sparire per poi ricomparire
leggermente spostata in mezzo al campo di fronte, una
figura umana in movimento verso il Faro, proprio verso
di lui.
Ma era
ancora così lontana che non poté immediatamente capirne
la tipologia : maschio- femmina, giovane- anziano,
amico- nemico ?
Era
stato tentato d’istinto di alzarsi e quasi andare
incontro a chi forse avrebbe risolto l’enigma dei
messaggi notturni, ma trovò la forza di rimanere fermo e
seduto ad aspettare che la persona si avvicinasse tanto
da capire almeno cosa fosse se non chi fosse.
In
quel paesaggio affascinante, selvaggio ma dolce,
mediterraneo a metà fra la forza rocciosa del sud e la
sontuosità vegetale del nord, la figura umana,
avvicinandosi lentamente a piedi, su e giù per il
sentiero fra il rosso della terra, il verde delle piante
e l’azzurro del cielo, si definì sempre più nettamente
come una figura femminile. Da quella distanza sembrava
abbastanza giovane, bella, appena vestita di pochi
indumenti rovinati, con una fascina di rami secchi sulla
spalla destra e un cesto di vimini appesantito dal
carico tenuto col braccio sinistro.
Il
Navigatore ancora più sorpreso, non si aspettava certo
una donna in quella situazione: si era immaginato un
uomo, forse anziano, forse malato, e si trovava davanti
una giovane donna. Non era affatto sicuro però che fosse
proprio lei l’autrice dei messaggi. Si alzò lentamente
ma rimase fermo sull’ingresso aspettando di vedere da
vicino la donna e poter capire chi fosse.
La
donna, a sua volta, appena si era accorta di lui fermo
all’ingresso del Faro, si era fermata di colpo a circa
cento metri di distanza. Erano rimasti entrambi immobili
a guardarsi a distanza come due animali che avvistatisi
cercassero nel vento, nell’aria, nei rispettivi odori
emanati dai corpi, dei segnali di riconoscimento,
amico-nemico, sicurezza-pericolo, difesa-attacco,
annusando l’aria più che aguzzando la vista o tendendo
le orecchie.
Dopo
lunghi minuti di immobilità, la donna aveva deciso di
rischiare: a quell’ora di primissima mattina fino a
quel giorno non aveva mai incontrato nessuno ed era
molto preoccupata della novità. Ma scappare
probabilmente sarebbe stato peggio che sfidare la sorte
e avanzare fino all’incontro con lo sconosciuto, ospite
imprevisto dell’Isola.
Riprese in mano la fascina e la cesta e proseguì
lentamente verso l’Uomo guardandolo fisso perché non le
sfuggisse alcun movimento e potesse analizzare ogni
segnale utile all’interpretazione di una minaccia o di
un sollievo.
Il
Navigatore era rimasto immobile e tuttora lo era anche
se sudava di tensione.
La
donna avvicinandosi stava svelando una bellezza
particolare e quasi imbarazzante per la sua anomalia:
bionda, capelli lunghi lisci malridotti, viso ovale ed
occhi chiari molto forti ed espressivi, corpo
longilineo, magro, scurito dal sole, coperto da
pantaloni sdruciti e una camicia arrotolata consumata in
più punti, scarpe da ginnastica vecchie e scolorite.
Si era
fermata a pochi metri da lui e aspettava di sentirlo
parlare per primo.
Il
Navigatore era rimasto a guardarla ammutolito per tutta
la durata dell’avvicinamento e fece fatica a rompere il
silenzio ma capì che doveva essere lui a iniziare dato
il suo arrivo da intruso.
“
Salve, mi scuso se disturbo, ma sono salito un’ora fa
dalla costa, dalla mia barca ormeggiata qui sotto nella
cala, per …”
“E’
solo?” l’interruppe lei.
“ Sì,
sì , ma perché ?”
“Non
si preoccupi, lei intanto mi assicuri di essere solo,
sia qui che in barca”
“Le ho
già detto che sono solo, completamente solo, mi creda,
con la mia piccola barca, che stavo..”
“Va
bene, va bene, le credo: e cosa ci fa qui a quest’ora ?”
“Appunto, le stavo dicendo prima che mi sono fermato
prima dell’alba e sono salito fino al faro per capire
chi avesse inviato degli strani messaggi con una torcia
elettrica”.
“Messaggi ? Erano tanti e diversi? Cosa dicevano questi
messaggi ?”
“No mi
sbaglio, in effetti era un solo messaggio ripetuto, come
al solito, almeno tre volte di seguito. ( Ma allora non
era Lei ? ) Un messaggio stranissimo, insolito, in
latino..”
“ In
Latino ?!”
“Sì,
proprio in latino, che diceva “Hic sunt leones”. Lei per
caso conosce il latino ? Anzi mi scusi se glielo chiedo
a bruciapelo appena conosciuti, ma lei è italiana,
perché la sua cadenza mi sembra particolare ?”
“Ma
lei è venuto qui per trovare un assassino, per
interrogare chiunque incontrasse, o per aiutare chi
aveva scritto il messaggio ? “
“Ha
ragione, mi scusi, non avevo intenzione ne di offenderla
ne di interrogarla ma solamente di capire chi ho
davanti”.
“ E io
chi ho davanti ?”
“
Francesco, 43 anni, genovese, professore di latino e
greco, uomo e navigatore solitario: e lei ?”
La
donna, dopo le prime battute avvenute in difesa, l’una
in piedi di fronte all’altro a pochi passi come in un
duello, si era leggermente rilassata intuendo le
apparenti buone intenzioni dell’Uomo e prima di
continuare il dialogo comunque difficile, sotto il peso
della fascina e del cesto pieno, invitò il Navigatore a
seguirla con uno scatto della testa.
Superarono il portone principale e attraversato un
androne malridotto e un’altra stanza di passaggio,
salirono le scale che portavano al primo piano ed
entrarono in una stanza che guardava verso sud, verso il
mare.
Era
arredata in modo essenziale, come il carcere segreto di
un sequestrato: un lettino arrugginito ma ripulito e
protetto da una coperta e un cuscino, un tappetino
scendiletto fatto di corda, un comodino con una candela
e un coltello da pesca, una sedia di ferro, un piccolo
armadio, un tavolino con un’altra candela e alcuni libri
appoggiati, una matita e una penna, dei fogli, dei
frammenti di pietra, una vecchia foto di un gruppo
familiare.
La
donna, che aveva lasciato la fascina al piano terra in
un angolo della stanza di passaggio, appoggiò la cesta
sul pavimento al centro della stanza, si sedette stanca
sul letto e invitò con una mano l’ospite a sedersi sulla
sedia.
“Preferisco continuare qui a parlare, senza essere visti
né dal mare ne da terra. Vuole un fico, sono buonissimi,
piccoli ma dolci fin troppo ?”
Il
Navigatore quasi obbedì: senza neanche ringraziare per
la fiducia accordata nel farlo entrare in “casa” sua e
per la gentilezza dell’offerta, allungò la mano e iniziò
a sbucciare un fico.
“Ma
cosa fa, lo sbuccia ? Toglie il meglio, ciò che dà forza
e sapore alla dolcezza morbida e quasi liquida interna
con una leggera amarezza ruvida esterna ? Questi sono
naturali al massimo, senza alcun trattamento, e la
buccia del fico contiene anche vitamine preziose ! Mangi
tutto assieme e magari pure ad occhi chiusi per
assaporare meglio concentrandosi sui sapori!”
Lui
obbedì muto per la seconda volta, chiuse gli occhi, aprì
la bocca e gustò lentamente i sapori e la situazione che
improvvisamente sembrava essere diventata rilassante e
piacevolissima. Stava quasi dimenticando il motivo
dell’approdo, il timore e la tensione dell’attesa, lo
stupore dell’arrivo della donna misteriosa e la
difficoltà dell’impatto.
“Allora cosa ha pensato di quel messaggio e chi pensa
possa averlo inviato ?”
Era
più lei che incalzava con le domande che non lui,
stordito dalla sorpresa.
Superato quel momento di sospensione piacevole, con in
bocca ancora il gusto particolare di un fico fresco
intero, il Navigatore si guardò attorno, ripercorrendo
velocemente gli oggetti della stanza, si alzò con garbo
dalla sedia per affacciarsi dalla finestra, verificare
il permanere della assenza di altre persone, scrutare il
mare calmo che si stendeva infinito verso sud, e
rigiratosi verso la donna che lo guardava sempre molto
attenta anche se più serena, le rispose:
“Ma
lei però non ha ancora risposto alle mie domande : chi è
lei ? Conosce il Latino ?”
“Lei
cosa pensa ?”
“Mi è
difficile interpretare la situazione ma direi di sì, lei
conosce il Latino, anche se questo non significa
automaticamente che sia stata lei a lanciare il
messaggio questa notte.”
“Bene!”
“Bene
cosa ?”
“Bene
la sua prudenza e il suo rispetto per me”
“Mi fa
piacere: allora ?”
“Allora le propongo un patto: lei ha fretta di ripartire
subito ?”
Francesco fu colto di sorpresa da quella domanda, così
come da tutto il resto fino a quel momento. Non sapeva
cosa rispondere. In verità non aveva molta fretta, stava
tornando a Genova ma la ripresa del lavoro sarebbe
avvenuta solamente fra almeno dieci giorni, nessuno lo
aspettava a casa sua tranne Kalma, il setter irlandese
che aveva lasciato per le vacanze a sua sorella nella
villa di Quarto. Poteva quindi decidere liberamente di
rimanere qualche giorno nell’Isola per conoscerla
meglio. Era ancora più incuriosito da ciò che stava
avvenendo e avrebbe voluto scoprire l’autore del
messaggio, o per aiutarlo o almeno per capire chi lo
avesse coinvolto in uno strano gioco. D’altra parte però
conosceva quella donna da appena mezz’ora e oltre la sua
bellezza e la sua indubbia forza tutto il resto faceva
pensare ad una storia difficile, rischiosa per chiunque
ne entrasse a parteciparvi.
Tutti
questi pensieri, pochi secondi di attività celebrale,
erano avvenuti ad occhi bassi, con lo sguardo fisso
casualmente sul comodino e sulla strana coppia di
oggetti, una candela in un piattino rotto e un coltello
da pesca. La candela probabilmente gli aveva e stava
ancora suggerendo pensieri di pace, di affetto, di
attenzione, di disponibilità, di generosità, di aiuto,
ma quel coltello non piccolo con la lama affilata in
punta e seghettata per metà, pronto all’uso (quale ?),
proprio lì, accanto alla candela della Pace a pochi
centimetri dal letto e adesso da lei e da lui, quel
coltello aveva suggerito e continuava a ricordargli la
dose di rischio , di pericolo, di incognite cui sarebbe
andato incontro rispondendo “No, non ho fretta”.
Come
spesso accade, l’indecisione fu sciolta non per vie
razionali bensì semplicemente sollevando lo sguardo
verso il viso della donna: in quell’attimo le sembrò
ancora più bella e attraente quanto maledettamente
misteriosa, da scoprire, e rispose seguendo quell’ultimo
istinto riequilibrato da un guizzo di intelligenza
autodifensiva:
“No,
non ho fretta, potrei rimanere qualche giorno, ma perché
farlo ?”
Pensò
così di costringerla almeno a scoprirsi parzialmente per
fargli capire qualche cosa in più e permettergli di
decidere con maggiore sicurezza.
“Perché se vuole scoprire chi ha inviato il messaggio
questa notte prima dell’alba e contemporaneamente
conoscere un luogo straordinario, dovrà rimanere qui ma
alle mie condizioni. Altrimenti ha altre due
possibilità: non scoprire l’origine del messaggio,
riprendere la sua barca e il suo viaggio; oppure andare
oltre il faro a piedi in cerca di qualcun altro che
l’aiuti a capire. La prima non le creerebbe alcun
problema se non l’insoddisfazione della mancata
soluzione dell’enigma, la seconda invece potrebbe
provocare dei rischi.”
L’Uomo
rimase in piedi mentre pensava, domandava e ascoltava la
risposta, ma alla fine dell’ultima parola di lei si
risedette di nuovo preoccupato e deciso a rischiare nel
conoscere meglio la sua interlocutrice che lo aveva
appena minacciato.
“Io
sono stato gentile e rispettoso, lo ha riconosciuto
anche lei, e adesso invece lei stessa addirittura mi
minaccia se non accetto le sue condizioni : e poi quali
sarebbero queste condizioni, quale sarebbe il patto che
mi propone ?”
“Guardi che io non la sto costringendo a rimanere e non
la sto minacciando: se lei vuole andare via anche subito
non glielo impedirei certo. Non posso e non voglio
spiegarle perché potrebbe correre dei pericoli se
andasse oltre nell’isola a cercare spiegazioni
attraverso qualcun altro. Se invece accetta di rimanere
con me, io l’aiuterò a capire l’origine e il perché del
messaggio e in più le farò trascorrere delle bellissime
giornate di conoscenza della Storia e della Geografia di
un pezzo d’Italia e d’Europa”
“E le
condizioni ?”
“Le
condizioni sono queste: che lei finché starà a Giannutri
non si allontani mai da me, che non vada in giro da solo
per terra e per mare, che mi segua ovunque evitando
assieme di incontrare altri e di essere visti da altri o
lasciare messaggi o segnali di qualsiasi genere ad altri
e se ne vada via avendo conosciuto l’Isola solamente con
me. Una volta partito da qui sarà libero di raccontare
ciò che vuole a chi vuole. Se accetta e mi promette di
non provare a tradire il patto sarò felice di ospitarla,
come posso, di rispondere a tutte le sue domande, di
farle passare delle giornate piacevoli.”
Il
sole ormai era alto, dalla finestra a sud si
intravedevano alcune barche veleggiare o avanzare a
motore in diverse direzioni, da un’altra piccola a nord
sopra il lettino si scorgeva la radura appena
verdeggiante col sentiero da cui era arrivata la donna,
piccoli uccelli in volo basso e qualche coniglio saltare
d’improvviso.
L’Uomo
aveva anche fame e pensò d’un tratto alla barca
ormeggiata e al piccolo canotto assicurato alla meglio
sugli scogli.
“Accetto, ma anch’io pongo una condizione alla mia
permanenza: se lei entro domani notte non mi avrà
proposto una spiegazione convincente del messaggio io
ripartirò all’alba, esattamente 24 ore dopo il mio
approdo. Se invece la sua spiegazione mi avrà convinto (
anche se non saprò mai se coincida con la verità ) potrò
rimanere qualche altro giorno a scoprire l’Isola e le
sue bellezze che adesso lei mi decanta.”
La
donna, ancora seduta sul letto, lo aveva ascoltato
mangiando qualche fico intero osservandolo con sempre
maggiore fiducia.
“Bene,
accetto anch’io questa sua condizione: adesso le
propongo di mangiare qualcosa e poi andremo assieme a
verificare l’ormeggio della sua barca.”
La
donna si alzò e fece un altro cenno a Francesco di
seguirla in un'altra parte del Faro allo stesso piano.
Si era creata una stanza da pranzo a suo modo, con vista
verso est: un tavolo con uno sgabello sbilenco, una
specie di armadietto porta dispense e una vecchissima
cucina a gas con due fornelli collegati ad una bombola.
Sia la sua stanza da letto che questa da pranzo erano
chiuse da porte rabberciate ma ben poste per evitare che
eventuali visitatori occasionali curiosi potessero
entrarvi facilmente.
“Si
segga lì che vado a prendere la mia sedia dall’altra
stanza”
Tornata subito e appoggiata la sedia accanto al tavolo,
di fronte all’ospite, aprì la dispensa e prese del pane,
del formaggio, dei pomodori, dell’insalata e alcune
pere. In silenzio posò sul tavolo i cibi, prese anche
una borraccia con dell’acqua, dei piatti sbeccati, due
bicchieri, due forchette e due coltelli, tutti diversi
fra loro.
“Questa sera, faremo un piccolo fuoco e potremo cucinare
un coniglio che ho preso ieri sera, per adesso se le va
bene ho solo questo da offrirle”.
“Va
benissimo, grazie: ma cosa ci fa lei qui ? Da quanto
tempo vive sola in questo faro, segretamente, senza
farsi scoprire, e poi perché e chi è lei e chi è che ha
inviato i messaggi ieri notte ?”.
Francesco continuava a sforzarsi di essere gentile e
rispettoso ma era tale la sua curiosità che non riusciva
a trattenersi dall’incalzare la donna ad ogni occasione.
“Io le
ho promesso che entro l’alba di domani lei saprà tutto
ma non tutto in una volta: sarebbe lungo e noioso. Ma
dato che lei si è presentato le dico almeno qualcosa
come lei ha già fatto poco fa: Jelèna, 37 anni, rumena,
archeologa, donna ricercatrice solitaria”.
Almeno
due intuizioni di Francesco erano giuste: quella donna
era straniera e conosceva il latino. Le prime conferme
lo stavano rafforzando nella decisione di essere rimasto
accettando la sfida degli accordi incrociati: entro
poche ore avrebbe svelato il mistero del messaggio e se
ne sarebbe potuto andare soddisfatto avendo conosciuto
un po’ meglio Giannutri e una persona strana ma molto
affascinante e interessante che forse non aveva poi così
bisogno di aiuto.
Il
pranzo essenziale era durato poco, con poche parole ma
molto importanti per lui, e così dopo aver messo a
posto rifiuti e suppellettili, Jelèna richiuse la
stanza, portando via la sedia, passò dall’altra stanza
per riporla accanto all’altro tavolo, prese una sacca,
chiuse anche quella porta e si avviò decisa verso le
scale per scendere a piano terra:
“
Andiamo a vedere la barca”.
Francesco la seguì come un cane affezionato: aveva
deciso che per ottenere il massimo di informazioni da
quella donna nel tempo stabilito, gli sarebbe convenuto
stare al gioco fedelmente, obbediente anche se non
ciecamente supino ed eccessivamente passivo.
Prima
di uscire dal portone Jelèna si fermò, guardò fuori
dalle fessure di una finestra chiusa lì accanto, e non
vedendo alcuno fuori, uscì facendo cenno a Francesco di
seguirla standole molto vicina per controllarlo e
poterlo guidare negli spostamenti clandestini.
Cominciarono a scendere verso il mare avendo prima
controllata se non passasse qualche barca nel momento
della loro visibilità. Jelèna camminava sicura, agile,
quasi ad occhi chiusi, scartando pietre instabili, parti
scivolose del terreno, ortiche o resti di agavi morte,
con una conoscenza del luogo veramente particolare, o
almeno così sembrava a Francesco che procedeva con meno
disinvoltura ed era costretto, dall’incalzare continuo
di lei - “Forza, dai, seguimi, ripeti i miei passi,
sbrigati !- a superare la sua naturale lentezza da
navigatore solitario senza tempo.
Raggiunta la caletta, ritrovato il canotto sullo
scoglio, e a pochi metri la barca ancorata, Francesco
era soddisfatto e pronto a risalire seguendo Jelèna in
un’altra direzione alla scoperta dell’Isola, come gli
aveva promesso. Rimase quindi fermo a guardarla in
attesa di “ordini”.
“Beh ?
Cosa guardi, cosa aspetti ? Non mi fai vedere la tua
barca, non vuoi fare un primo giro dell’Isola alla
scoperta dei grottini, delle calette, della Villa, delle
cernie giganti, dei ricci rosa, dei gabbiani pescatori ?
Non eri curioso !?”
Quella
donna continuava a sorprenderlo e conquistarlo: era
rimasto perplesso a quella proposta quasi normale di
fare un giro in barca con lui.
“In
barca con te non posso essere scoperta: potremmo essere
due normalissimi turisti, coniugi o amanti o amici, e
non creeremmo alcuna curiosità né visti da terra ne dal
mare, quindi andiamo che il pomeriggio è bello, il vento
è giusto, il mare è calmo da questa parte”.
Francesco allora si mosse velocemente, da esperto
orgoglioso di esserlo e a quel punto desideroso di
mostrare la sua competenza e prendere le redini in mano,
almeno fino a che Jelèna gli e lo avrebbe permesso.
Sciolse il nodo di sicurezza che bloccava il canotto
allo scoglio, lo preparò alla salita della donna, la
fece andare a bordo aiutandola con una mano, salì anche
lui avendo preso i piccoli remi e liberato il canotto,
remò poche battute per raggiungere la barca a poppa,
fece scendere Jelèna, scese anche lui trattenendo il
canotto e infine tirò a bordo anche quello fissandolo
alle piccole funi predisposte.
“Siediti qui che tolgo l’ancora e salpiamo in un
attimo”.
Jelèna
era contenta. Da quando era nell’Isola non era mai
riuscita a salire su una barca, fare un giro, ammirare
Giannutri dal mare, fare un bagno al largo, trascorrere
qualche ora serena, senza l’angoscia di essere vista,
scoperta, braccata. Mentre Francesco tirava su l’ancora
sentiva una sensazione di sicurezza di piacere che non
provava da tempo, da quando aveva lasciato Bucarest quel
maledetto giorno di maggio a bordo dell’auto degli amici
di quel vigliacco di suo cugino Mirko.
Nello
stesso istante però le venne in mente il terrore di
quando era salita in barca a Porto Santo Stefano,
sull’Argentario, direzione Giannutri, camuffata da
turista clandestina in mezzo al gruppo di tedeschi, con
grandi occhiali da sole un foulard che le copriva tutta
la testa e un piccolo bagaglio a mano. Quando il barcone
si era mosso e la cittadina si allontanava aveva
respirato profondamente e sentiva assieme un grande
sollievo nel distacco da terra, dalla paura, dalla
settimana più tremenda della sua vita, e una grande
angoscia per ciò che l’aspettava : un imprevedibile
arrivo in un’isola piccola dove avrebbe rischiato di
essere riconosciuta molto presto come intrusa,
clandestina, illegale, senza documenti e quindi
denunciata e poi chissà..
“Sai
anche veleggiare ?” le chiese Francesco sedutole
accanto.
“No,
questo proprio no, mi dispiace, non posso neanche darti
una mano perché potrei sbagliare, ma penso che tu non ne
abbia bisogno”
“Infatti non ne ho, grazie: ma verso dove andiamo, dove
dirigo la barca a levante o a ponente, facciamo un giro
verso qua o là ? “ disse indicando la costa a sinistra
del Faro e a destra.
“Di
qua, di qua, verso i Grottini, verso nord ovest, verso
il tramonto: ti porto a vedere il sole morire dal posto
più bello e prezioso dell’Isola e lì qualcosa ti
racconterò”.
Il
Navigatore meno solitario del solito, liberò la vela
posizionandola per sfruttare meglio la brezza
pomeridiana, scelse la rotta con il pilota automatico
che comandava elettronicamente il timone, e tornò
accanto a Jelèna per ascoltare le sue spiegazioni della
costa che si andava svelando superato il capo sud del
Faro. Si spostarono entrambi sul lato destro della barca
per potere guardare meglio la costa illuminata
pienamente dal sole.
Francesco guardava alternativamente il mare, la costa,
la vela, il pilota automatico e il viso di Jelèna,
sorprendendosi ormai più di se stesso in quella
situazione che della donna responsabile della sua
“deviazione di rotta”.
Abituato da anni a lunghe traversate da solo, a infiniti
momenti di silenzio, di riflessioni, di ricordi, di
verifiche tecniche delle carte, delle vele, del motore,
dei cavi, della strumentazione di bordo, della cambusa,
della radio preziosissima compagna, del diario di bordo,
insomma di tutte quelle componenti inevitabili della
navigazione in solitaria, adesso essere improvvisamente
nella stessa barca che lo portava via da oltre vent’anni,
in compagnia di qualcuno, per giunta di una donna, per
giunta molto bella, giovane e misteriosa, gli sembrava
così strano che non sapeva se essere più contento,
eccitato, esaltato, o scombussolato, scioccato, tradito
da se stesso.
“I
Grottoni li vedo sempre dall’alto, mi fanno paura ma mi
attraggono più di ogni altra parte della costa”.
|