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Montagnamare
( la versione che segue è stata pubblicata nel libro "Su per la montagnamare"
Ed. Libr'aria 2006 - Provincia regionale di Palermo )
Gianguido Palumbo
Montagnamare
Cefalù 2006
Diana, e assieme a Lei, Pompeia, Costanza, Simona, Marotta, Basilia, Natalia, Isabella, Stabilia, Amelina, Isabella, Eufemia, Margherita, Antina, Narda, Caterina, Nuccia, Isabella, Susanna, Maria, Diana, SuorMaria, Gianvincenza, Camilla, DonnaFelice, Bernardina, Francesca, Caterina, Catarina, Giuseppa, Gesuela, Ninfa, Sereta, DonnaAurora, DonnaEleonora, Maria, Liboria, Pipi, Marianna, Angelina, Elvira, Antonietta, Giuseppina, Elisabettiana, DonnaPepita, e assieme a loro anche la Vecchia Strina.*
Una Dea, quarantacinque Donne, una Befana.
Gli Uomini del Paese di sotto, di mare, di costa, non lo sapevano, ma le Donne sì: in Montagna, lì sopra e lì dentro, vivevano in segreto ancora e ancora sarebbero vissute, tutte le donne strane, particolari, importanti, povere o ricche, sagge o pazze, ignoranti o istruite, della storia di Cefalù.**
Chi da libèrta romana affrancata era divenuta così importante da meritare la sepoltura nella necropoli; chi da Vicaria del Regno di Sicilia, aveva governato con insolita fermezza ed accortezza; chi alleviando sofferenze di tanti malati era morta in odore di santità; chi zingara figlia di zingari era ricordata per la sua straordinaria bellezza e intelligenza; chi continuava a operare miracoli a molti anni dalla sua scomparsa; chi mecenate eccellentissima e generosissima; chi ripetuta testimone di eventi miracolosi ancor oggi ricordati; chi prolifica madre di gemelli ripetuti; chi ebrea transfuga e convertita; chi vittima eroica dei moti rivoluzionari con la testa recisa, messa a bollore nell’aceto per ore ed esposta nella Piazza del Duomo; chi trascinata senza vita dalla falde della Rocca sulla spiaggia nella notte terribile di una alluvione mai vista; chi Principessa olandese di origine prussiane sbarcata nell’anonimato giovanissima e ritornata a partorire nel paese dello sbarco salvifico; chi Prima studentessa superiore del Real Ginnasio; chi scrittrice sensibile e ammirata; chi umile cucitrice di bandiere tricolori.
Chi aveva salvato il paese, chi aveva umilmente lavorato e chi comandato, chi si era distinta per un solo gesto o una sola parola e chi invece aveva dedicato una vita ad una causa, chi era impazzita per amore e chi l’amore lo aveva regalato, chi aveva vissuto pochi anni e chi decenni.
In quasi tremila anni, 3000, di vita, la Montagna era diventata una madre di roccia. Ad ogni arrivo di una Donna dal Paese, tutte le altre preparavano una festa in suo onore: cibi e canti, danze e riti che ogni volta accoglievano la nuova venuta nel grande ventre di pietra segreta. La Nuova veniva bendata prima dell’ingresso nella grande Caverna centrale dove si svolgeva il rito d’accoglienza. Due donne, sempre diverse, l’accompagnavano con le braccia camminando piano piano verso il lato più raccolto dove Diana aspettava il suo arrivo per sbendarla. Il breve tragitto, percorso in pochi minuti dalle tre donne, era accompagnato da un silenzio accurato e rispettato da tutte le altre, disposte a cerchio lungo le pareti della caverna. Ogni donna teneva una candela accesa protetta da una mano per schermare la luce. Ad ogni luce un’ombra si stagliava sulle pareti della caverna creando una moltiplicazione di figure, alcune più chiare reali e immobili, le altre scure, appiattite sulla roccia e tremolanti come in una danza sinuosa. Arrivate di fronte a Diana, le due accompagnatrici lasciavano le braccia della nuova ospite e aspettavano che la dea sciogliesse il drappo attorcigliato sul capo della donna lasciandolo cadere. In quell’istante ogni donna soffiava sulla propria candela per spegnerla. La Caverna rimaneva flebilmente illuminata da un solo braciere sempre acceso posto al centro, accanto ad una fonte d’acqua dolce sotterranea. Le Donne intonavano allora una semplice sequenza di note stabilite per comporre una melodia corale che segnasse l’inizio di una nuova vita della donna nel Monte. La Vecchia Strina invece, all’in piedi sul lato opposto di Diana, emetteva un sibilo fortissimo che per qualche secondo rimbalzava sulle pareti dell’antro fino alla perdita dell’energia sonora. La Nuova si girava su se stessa per ammirare in silenzio la grande Caverna e poi s’incamminava da sola lungo il cerchio delle sue compagne per osservarle da vicino, ad una ad una, in un saluto di riconoscimento. Alla fine del giro, ritornata da Diana, veniva accompagnata al suo giaciglio preparato con cura prima dell’arrivo.
Iniziava così la seconda parte del rito.
Diana, presentato il giaciglio alla Nuova, le indicava il centro dell’antro mentre le donne si avvicinavano lente al braciere centrale ed alla fonte per bere con le mani l’acqua pura ed estrarre da sotto le ceneri, accumulate e raccolte, i piccoli pani cotti da offrire alla benvenuta. Prima la Nuova, seconda Diana, terza la Strina e poi tutte le donne presenti iniziavano a mangiare bocconi dai piccoli pani che sembravano uguali ma erano stati impastati ognuno con un’erba diversa: origano, ortica, menta, salvia, basilico, prezzemolo, rosmarino, finocchietto, timo,. Alla fine del pasto essenziale, ogni donna bagnava le mani e le braccia alla fonte, riempiva d’acqua le mani giunte e beveva a lunghi sorsi. Poi si dirigevano tutte ai loro giacigli individuali e il rito d’accoglienza si concludeva nuovamente nel silenzio. Di giorno le Donne della Montagna vivevano lì dentro, in quel ventre ampio e accogliente, caldo e protettivo. Ognuna dormiva al proprio posto, separato e ben curato. Si lavavano in quell’unica fonte sotterranea che sgorgava pura e fresca al centro della piccola valle della grande Caverna. Preparavano i cibi nel braciere, alternando ricette segrete di epoche diverse, sperimentandone di nuove e soprattutto parlavano fra loro, a due a due o a tre o a gruppi casuali, raccontandosi decine di storie appartenenti a vite così varie, di secoli, anni e momenti diversi della lunga storia di quella Terra e di quel Mare. E a turno l’una chiedeva all’altra di spiegare, di approfondire, di svelare i particolari più curiosi e interessanti. La memoria si incrociava e le età a poco a poco si scambiavano fino a non distinguersi più. Solo di notte, ma non tutte le notti, le Donne risalivano, uscivano fuori all’aperto, a guardare le stelle, il cielo, la luna, il mare, il Paese di sotto. In perfetto silenzio stavano ore ed ore a guardare, girando lentamente il capo da una parte all’altra, verso l’alto e verso il basso, da destra a sinistra, per coprire tutto l’orizzonte visibile. Guardavano, ascoltavano tutto e sentivano attentamente anche gli odori e i profumi che arrivavano dal mare, dalla terra, dalle case e dal cielo. Sedute sulle rocce o sul prato in cima alla Montagna, trascorrevano le notti, quelle notti di luce di Luna, come antenne attive pronte a ricevere segnali del tempo, sensi della vita e delle vite lì attorno. Al rientro, preparavano infusi caldi con le erbe speciali del monte e trascorrevano ore a bere e scambiare i pensieri nati nella notte sensibile. Ogni interpretazione, ogni idea veniva esposta e discussa per scoprire se vi fossero coincidenze o discordanze, se i loro pensieri confrontati indicassero dei futuri possibili o spiegassero i passati appena svolti. Non sempre i lunghi dialoghi attorno ai fuochi dell’alba, riscaldati dagli infusi bollenti e rigeneratori, portavano le Donne della Montagna a deduzioni felici e convincenti. Non sempre si trovavano gli accordi sui confronti e le interpretazioni, non sempre rimanevano serene. Le Donne speravano allora che la notte seguente o successiva le avrebbe rese più leggere. E così da millenni a Cefalù.
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Fra quel Mare e la Montagna avvenivano però anche fatti strani che gli Uomini del Paese non capivano, non avevano mai capito e non avrebbero mai capito. Una volta all’anno, ogni anno, a primavera i primi di maggio, la Montagna diventava tutta rossa di fiori che sfiorivano l’indomani; forse erano papaveri, forse no, ma stupiva comunque l’improvvisa fioritura e sfioritura in una sola giornata. Un’altra invece, nella notte più calda dell’estate, tutti i cani, delle campagne d’intorno e del Paese, liberi e sottopadrone, rimanevano immobili, come statue di sale, ovunque fossero e cominciavano a guaire, a ululare, ad abbaiare, a mugolare, a ringhiare, per pochi minuti, per annunciare un terremoto, una catastrofe, un disastro naturale imminente: ma poi non succedeva niente. Un’altra volta, di solito a settembre ma non proprio ogni settembre, di solito al tramonto di una sola giornata limpida e luminosa, la Montagna si riempiva di gabbiani che volteggiavano, si posavano e ripartivano in volo, si rincorrevano, scendevano in picchiata lungo le pendici nord orientali della roccia sul mare e poi viravano improvvisamente verso ovest ritornando a salire fino in cima al Castello, emettendo grida semiumane davvero inquietanti; la visione era maestosa e paurosa al contempo, quanto rumorosa al massimo e vorticosa solo a guardarsi per un attimo; ma quelle centinaia di uccelli al tramontar del sole riprendevano il volo verso il mare, forse alla ricerca di una nave da cui sperare di ricevere cibo di scarto scomparendo all’orizzonte, ormai sagome scure sempre più minute. Un’altra, di novembre, senza temporali che li precedessero, nascevano in serata due arcobaleni incrociati e perpendicolari che congiungevano i quattro punti cardinali incoronando la Montagna e illuminandola multicolore e gioiosa come una torta siciliana infiocchettata per esser regalata. Un’altra volta ancora, in pieno inverno, poco prima dell’ultimo dell’anno, la notte si riempiva di voci provenienti da dentro la Montagna, da una festa lontana di cui si potesse distinguere solamente l’allegria, l’eccitazione, la grande attività. Quelle voci avevano una tale forza di attrazione che alcuni uomini, anche in piena notte, si vestivano di tutta fretta, stando attenti a non svegliare le famiglie, per uscire e avvicinarsi alle pareti della Montagna sperando di scoprire dove andare per trovare la festa misteriosa e unirsi alle protagoniste: ma ogni volta i temerari tornavano delusi alle loro dimore addormentate senza aver scoperto nulla, neanche un foro da cui spiare visioni o percepire suoni nitidi di cui bearsi e rimanere soddisfatti. Fiori improvvisi bellissimi e sfuggenti, cani irrequieti, uccelli in festa inquietanti e quasi minacciosi, luci nel cielo, voci attraenti come di sirene, non erano avvenimenti evidenti e semplici da vivere e capire, di cui solo stupirsi e godere. Sembravano fatti strani e segnali di misteri che li tenevano distanti, separati dalle donne di ogni giorno. E così gli Uomini ignari del Paese ogni volta chiedevano alle spose, alle madri, alle sorelle, alle figlie, se avessero visto o sentito quelle strane visioni, quelle strane voci, ed ogni volta, le Donne, giovani, adulte o anziane che fossero, rispondevano allo stesso modo : “Ma che siete impazziti, noi non abbiamo visto niente, sentito niente!”. Ognuna di loro aveva ben visto e sentito in realtà ma si trattava di mantenere il segreto della Montagna, della Roccia Madre, delle Donne Speciali che vivevano lì, che aspettavano altre donne anno per anno, secolo per secolo, millennio per millennio.
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Una notte d’agosto, di luna piena, di stelle cadenti………………. mentre cittadini e turisti passeggiavano di sotto, per le vie del Paese, lungo la spiaggia, da soli o in gruppi, tristi e allegri, stanchi o eccitati; mangiavano in decine di locande pesci e carni, arrosto, al forno, in bollitura, al cartoccio, al sale, in padella, paste lunghe, corte, di grano tenero o di grano duro, fatte in casa, industriali, all’uovo o senza, con sughi bianchi, rossi, verdi, leggeri o pesanti, di tradizione o d’invenzione, verdure di stagione, fuori stagione, saltate, scottate, grigliate, insalate condite o naturali, formaggi di mucca, di capra, di pecora, freschi, stagionati, piccanti o solo saporiti, dolci e gelati artigianali, frutta fresca e macedonie; ballavano lenti, valzer, mazurche, tanghi, chachacha, twist, salse, mambi, disco, rock, soul, stretti stretti, ammassati nelle balere illuminate; scorazzavano frenetici da un punto all’altro della costa dentro macchine insonorizzate, metallizzate, accessoriate, truccate, maleducate; cercavano il sonno al fresco delle camere da letto in campagna e al mare, nelle loro case, in affitto, in proprietà, antiche, recenti, nuove, legali, abusive, negli alberghi di prima, di seconda, di terza, ad una, due, tre, quattro, cinque stelle, nei letti&colazione, negli agriturismo, nelle baracche, sotto ponti e sopraelevate; facevano l’amore, o si accoppiavano e basta, in mille posizioni e condizioni, soddisfatti e insoddisfatte, bramosi o annoiate, doverosi e illusi, bendisposte e deluse, entusiasti sinceri e veramente innamorate, futuri sposi o possibili coppie , coppie di fatto e coppie di fortuna, omologhi o eterologhi, coniugi fedeli e coniugi impossibili,.................... mentre la vita avanzava zoppicando, ferita ma energica, in quello stesso istante apparvero lontane due luci forti, diverse, accompagnate da due suoni continui, diversi anch’essi per altezza e timbro. Una luce si vedeva all’orizzonte nord, sul Mare, e si sentiva proprio come il richiamo profondo di una nave, uno di quei suoni di corno, cupo e penetrante; un’altra luce si vedeva in cima alla Montagna, ad est, accompagnata da un altro suono più acuto, sottile, forte, magnetico. Eppure il fatto più strano doveva ancora accadere. In quella notte d’agosto, non appena le due luci di Mare e di Montagna, coi loro suoni, iniziarono a farsi sentire e a farsi vedere, le migliaia di persone presenti in Paese, in spiaggia, in campagna, per le strade, nelle case, nei negozi, nei bar, nelle osterie, nelle balere, negli alberghi, ovunque, si fermarono, o si svegliarono, interruppero la loro vita e lentamente, ma con grande determinazione, iniziarono a camminare verso le due fonti di energia luminosa e sonora: i Maschi, bambini, giovani, adulti, anziani, verso il Mare, le Femmine, bambine, giovani, adulte, anziane, verso la Montagna. La divisione fu netta ed anche chi sentiva in sé l’ambivalenza scelse con chi andare e verso dove dirigersi. I Maschi si avvicinarono alla spiaggia e al porto. Mentre la Luce di Mare continuava a brillare potente all’orizzonte, i più giovani e forti si spogliarono nudi, lasciando i vestiti sulle spiagge e sui moli, entrarono in acqua e iniziarono a nuotare in direzione della luce e del suono. Tutti gli altri si misero a remare, in decine di barche coi bambini e gli anziani. Formarono insieme una grande scia di corpi e di scafi, illuminata dalla luna e dai riflessi della luce sull’acqua, in perfetto silenzio, senza urla, chiamate, esclamazioni, invocazioni, imprecazioni o commenti, concentrati nello sforzo di muoversi nell’acqua per raggiungere al più presto il punto luminoso poco distante. Migliaia di uomini d’ogni età stava seguendo un istinto insopprimibile. Nuotavano a larghe bracciate, a testa fuori come da bambini o a testa dentro da esperti, imitando i campioni ammirati nelle gare o arrangiandosi a fatica pur di procedere in quel mare scuro; remavano di buona lena, con la sapienza e la forza di pescatori secolari, avanzavano metro dopo metro, attenti gli uni agli altri, con rispetto, con la schiuma del mare che montava e luccicava nel piccolo golfo naturale e oltre ancora, verso l’orizzonte segnato dall’occhio di una luce improvvisa. Le Femmine invece si erano avviate lungo la via che dal centro del Paese risaliva alla Rocca. Dai primi gradini accanto alle ultime case proprio sotto la roccia sovrastante, fino ai primi tornanti del sentiero ripido che si arrampicava lungo i fianchi della montagna, formavano un lunghissimo corteo silenzioso, lento e sinuoso. A passi diseguali avanzavano l’una accanto all’altra, l’una dietro all’altra, guardando a terra, quasi sonnambule spinte da una energia nascosta. Vestite per caso, moderne e antiche, dimesse o altere, coloratissime e gioiose, nere e grigie, alcune in abiti da sera provenienti da locali notturni e feste private, alcune in poveri pigiami con figlie piccole in braccio avvolte nelle copertine estive, altre addirittura in costume da bagno con teli leggeri da spiagge notturne. Tutte però a testa bassa, comprese in quel rito da rispettare assieme indistintamente. Sfioravano i cespugli di finocchio selvatico, i rami bassi dei carrubi, dei gelsi, dei mandorli, delle mimose senza fiori, i fichidindia acuminati ancora spogli dei frutti colorati e succosi, sceglievano i passi attente a non cadere, a non fermare il corteo, avanzando prudenti nel semibuio di quella notte squarciato solamente dalla luce in fondo al Mare e da quella in alto alla Montagna da raggiungere al più presto. Ci volle più di un’ora per non vedere più alcun corpo nuotare o camminare. Tutti gli Uomini avevano raggiunto la luce nel Mare, tutte le Donne erano salite in Montagna. Il Paese si vuotò completamente, come pure le spiagge, le campagne, le strade. Non c’era più alcun essere umano, neppure anziani malati o neonati, anch’essi portati a braccia o con mezzi di fortuna dai Maschi e dalle Femmine più forti verso le due mete luminose, in Mare e in Montagna. Erano rimasti solo gli animali : cani, gatti, topi, cavalli, asini, muli, capre, pecore, galline, conigli, tacchini, gechi, lucertole, formiche, cicale, grilli, ragni, scarabei, lombrichi, farfalle, api, zanzare, mosche, calabroni, uccelli, pesci, tutti insensibili ai due richiami sonori e luminosi, tutti a loro posto, alla loro vita notturna di riposo o di caccia. Le due luci si spensero e i suoni smisero di farsi sentire. Una quiete inusuale avvolse tutto intorno ed anche il Paese rimase immobile mentre gli animali continuavano la loro vita di riposo o di azione.
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Non si è mai saputo cosa fosse successo veramente quella notte ai Maschi, agli Uomini di ogni età di Cefalù, una volta raggiunta la luce in fondo al Mare, e alle Femmine, alle Donne di ogni età di Cefalù raggiunta la cima della Montagna. Nacquero storie di ogni tipo, a spiegare l’accaduto, riferite da chi aveva vissuto quella notte speciale. Una storia raccontava che i Maschi, arrivati vicino la luce, avessero trovato una Nave con una grandissima lampara per la pesca dei polipi e dieci marinai giganti pronti con gli arpioni e le teste immerse nei dieci bidoni per guardare dentro il mare attraverso il fondo di vetro. Scoperto l’inganno solo a pochi metri dallo scafo per la forza accecante della luce, le migliaia di uomini, ragazzi e bambini del Paese, pur affaticati dal percorso di andata, avevano cercato di scappare ritornando indietro verso la riva ma alcuni erano stati pescati dai Giganti che ridevano fragorosamente ad ogni vittima trafitta. Il terrore e lo sconforto era stato tale che i superstiti avevano deciso di mentire alle donne considerando quello come un avvertimento, quasi una punizione per le loro vite imperfette. Un’altra storia raccontava che i Maschi avevano trovato un Faro nuovo in mezzo al mare che emanava una luce continua ed un calore benefico, un’energia rigenerante che si insinuava dentro i loro corpi e dava forza nuova per tornare alla vita di sempre sentendosi migliori. Un’altra raccontava che le Femmine mano a mano che salivano si sentivano stanche, sempre più stanche fino a svenire arrivate tutte in cima, vicino alla Luce provocata da un incendio innaturale che illuminandole quasi a bruciarle le aveva addormentate facendole sognare incubi di guerre familiari. Svegliatesi dai sogni, impressionate da possibili presentimenti, erano discese lungo il sentiero incupite e meste. Un’altra però raccontava che le Femmine avevano trovato in verità un grande fuoco acceso attorno al quale centinaia di piccoli pani aromatici erano stati appoggiati su piccole pietre piatte e ancora calde, offerti per nutrire le benarrivate e fare festa. Sicuramente dopo alcune ore, poco prima dell’alba, tutti gli Uomini e tutte le Donne erano tornate dal Mare e dalla Montagna. Gli Uomini, più giovani, avevano ripreso i loro vestiti abbandonati sulle spiagge del paese, si erano rivestiti, gli altri avevano ormeggiato le barche utilizzate, erano scesi a riva aiutando i più piccoli e i più anziani, e si erano uniti ai primi per tornare alle loro case, ai loro lavori e attività. Le Donne avevano ripreso il cammino di ritorno, ricongiunte alle loro famiglie e alla vita di sempre. Tutti e tutte erano tornati come più sereni e serene, più in pace con se stessi e se stesse, un po’ meno “maschi” i primi e meno “femmine” le seconde, più vicini, più attenti gli uni alle altre, le une agli altri. E chissà come e perché negli anni successivi a Cefalù, anno dopo anno, si videro molti più bambini e bambine per strada, a scuola, al mare, in montagna. Da quella notte d’agosto, ogni anno, nello stesso giorno, alla stessa ora, tutte le donne e tutti gli uomini si dividono e ritornano in Mare e in Montagna, per rigenerarsi con quella strana energia sonora e luminosa. FINE
* I nomi delle donne sono tutti autentici, ripresi dalla storia di Cefalù presente nel Sito Internet del Comune. ** Cefalù : Kefa in Ebraico vuol dire Roccia. Jefe in Spagnolo vuol dire Capo. Cefali invece sono i tre pesci che creano l’antico stemma della cittadina siciliana. Montagna e Mare.
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Foto e testi di Gianguido PAGI
Palumbo
last update:
23/05/2011 11.07.14